Beethoven e Viganò – un sodalizio neoclassico: Didone

Gran Ballo Eroico espressamente composto per i’ I.R. Teatro alla Scala. Incominciato dal cel. coreografo Salvatore Viganò e terminato da Suo Fratello Giulio

Salvatore Viganò, nato a Napoli il 25 Marzo 1769 fu dapprima ballerino e poi coreografo. Era figlio d’arte infatti suo padre Onorato era maestro di ballo e coreografo; la mamma, Maria Teresa Boccherini, anche lei ballerina, era la sorella del celebre Luigi Boccherini e con lo zio egli studiò anche composizione.

L’esordio come ballerino, in ruolo femminile, avvenne a Roma. Poco dopo Viganò si recò in Spagna, scritturato per gli spettacoli in onore di Carlo IV a Madrid (1788), dove conobbe e sposò la danzatrice spagnola Maria Medina.

Successivamente, la coppia si recò in Inghilterra con il famoso coreografo J. Dauberval, alla cui scuola Viganò apprese le teorie noverriane e l’arte della coreografia. Fu all’Opera di Parigi (1789) per breve tempo, poi a Bordeaux e a Venezia (1790) dove il pubblico si entusiasmò soprattutto per le esibizioni di sua moglie che avvenivano con costumi molto trasparenti e provocanti. Questo causò una prima frattura nella coppia che continuò ad esibirsi insieme dal 1795 al 1799 a Praga, Dresda, Berlino e Amburgo. Nel 1799, però, avvenne la definitiva rottura per cui Viganò rientrò a Vienna e divenne maître de ballet del teatro sino al 1803.

A Vienna, egli creò la coreografia per l’Hoftheater di molti balletti celebri, sugli altri quello che fu definito il suo capolavoro “Le creature di Prometeo” che fu rappresentato per la prima volta al Burgtheater il 28 Marzo 1801. Mentre Beethoven  compose le musiche, Viganò preparò tutta la coreografia e ballò perfino alla prima. Nonostante Beethoven non fosse molto soddisfatto del contributo di Viganò, questo spettacolo fu ripetuto ben 14 volte nel 1801 e 13 volte l’anno dopo.

Viganò ritornò in Italia nel 1804; gli spettacoli successivi a Milano, Venezia, Roma e Padova segnarono un progresso dell’autore nel dramma danzato, basato sull’espressività correlata al ritmo musicale. Si stabilì definitivamente a Milano nel 1812, quando abbandonò la danza per dedicarsi totalmente alla coreografia.

Fino alla sua morte, avvenuta a Milano il 10 agosto 1821, assunse il ruolo di maître presso il Teatro alla Scala mettendo in scena con successo molti suoi lavori.

Ideatore del cosiddetto coreodramma (dramma danzato, una fusione di danza e recitazione drammatica, nel quale viene dato ampio spazio alla esibizione del corpo di ballo e meno agli assoli o ai pas de deux), fu il primo a intuire le potenzialità drammatiche dell’arte coreutica.

Nel limare i suoi più riusciti coreodrammi toccò con Prometeo (rifacimento delle Creature di Prometeo) nel 1813, alla Scala, il vertice della sua arte. Ciò gli riuscì soprattutto per l’omogeneità dello spettacolo, creata grazie al contributo interpretativo dei danzatori, istruiti accuratamente, alle scelte delle musiche, alcune delle quali composte da lui stesso, al grandioso apparato scenico di tendenza neoclassica. La critica, unanime, riconobbe in questo “ballo grande” le qualità del capolavoro: Stendhal, Foscolo, Porta ne fecero le lodi. Con l’ultimo coreodramma “I Titani” (1819) Viganò tocco punte altissime nella complicità spettacolare che presagiva l’incalzante romanticismo.

DIDONE , Regina di Cartagine………..  Signora Chouchoux Cristina.

ENEA………………………………………………. Signor Rossi Domenico.

ASCANIO , suo figlio……………………… Signora Monticelli Genoveffa.

ACATE , amico d’ Enea…………………… Signor Viganò Edoardo.

JARBA, Re di Getulia. ………………………..Signor Costa Luigi.

ANNA , sorella di Didone…………….. Signora Bellini Enrichetta.

OSMIDA , Capitano dell’ Esercito Cartaginese. Signor Galliani Carlo.

ARASPE , seguace di Jarba………….. Signor Diani Prospero.

Donne , e Donzelle addette alla Corte di Didone. Nobili Tirj , Magistrati , e Cortigiani di Cartagine. Soldati Cartaginesi. Soldati di Jarba.

Molti Prodi Trojani comandanti le navi di Enea. Marinari, e Soldati della flotta.

Popolo.

La scena è in Cartagine.

  • Primo Atto
  • Sinfonia – Moderato  (Cherubini)
  • 1 Allegro – I Cartaginesi maltrattano i Trojani e vogliono incendiare la  loro flotta
  • 2 Andante – Enea racconta  le sue vicende, e le sue disgrazie
  • 3 Allegro moderato – Didone si interessa ad Enea e gli promette aiuto
  • 4 Allegro giusto – Sbarco de’ Trojani e del piccolo Ascanio (Rossini)
  • 5 Allegretto – Verginelle che portano frutti e fiori alli sbarcati Trojani (Majerbeer)
  • 6 Pas de deux – Andante sostenuto
  • 7 Entrée – Ballabile del primo atto del gran Ballo La Didone composto sopra un tema originale Africano (Lichtenthal)
  • Secondo Atto
  • 1 Allegro Molto – Didone pensierosa ed inquieta confida ad Anna il segreto della nascente sua fiamma (Rossini)
  • 3 Allegro moderato – Anna seconda l’ inclinazione della Regina a favore di Enea.
  • Quarto Atto
  • 1 Allegro molto – Osmida ed Anna accolgono le autorità nella Reggia in mancanza della Regina (Meyerbeer)
  • 5 Allgro – Congedo di Didone al supposto ambasciatore del Re Iarba
  • Quinto Atto
  • 1 Andante – Mentre Enea è pensieroso sul proprio destino apparisce lui l’ ombra di suo Padre Anchise
  • 4 Allegro – Affanni di Enea e della Regina causati dalla contrarietà del loro destino
  • 7 Vivace
  • Sesto Atto
  • 1 Andante – I Trojani si mostrano afflitti per vedere la loro navigazione interrotta, ma poi Enea li rianima partecipando loro la sua risoluzione.
  • 2 Senza indicazione
  • 3 Agitato – Smania, e preghiera di Didone onde impedire la partenza di Enea. (Rossini)
  • 4 Adagio – DIdone quasi fuor di se stessa viene per colmo di sua sventura sopraffatta dalla forza dell’ Esercito Getulio: Essa si uccide e lasciasi cadere nell’ ardente Rogo. (Majerbeer)

ATTO PRIMO

Aggregato di magnifiche fabbriche della nuova, città di Cartagine ; che mettono al Porto.

Quasi tutta la spiaggia è coperta dalle navi Sconquassate di Enea ivi spinte dalla fiera tempesta. Il popolo sospettando , che questa flotta sia di predatori vi accorre in folla con fuochi per incendiarlo. I Trojani desolati parte discesi a terra, e parte ancora a bordo fanno ogni possibile sforzo per trattenere questi barbari , e distarli dal loro disegno. Enea ed Acate circondati da feroci Tirj sono presentati alla Regina Didone , che fra gran corteggio ivi si è recata per istruirsi del motivo di tale tumulto e per acchetarlo. Enea in tuono nobile e patetico prega Didone a non voler permettere che nel suo regno si commetta la violenza e l’ eccesso minacciato dai suoi d’ incendiarle sue navi , le quali non come predatrici, ma Solo qual ludibrio , e scherno del mare furono a forza su quella costa gettate. Brevemente quindi la informa del suo nome, de’ suoi miseri Trojani, delle sue Sventure , e dell’ oggetto del suo viaggio. La esorta a concedergli amico asilo, vettovaglie, e legnami per risarcire gli infranti suoi legni , onde poi proseguire verso I’ Italia la sua navigazione. Stupisce Didone al racconto di questa avventura, ed allo aspetto di un tal uomo , la cui fama ben conosceva , come di Troja il nome, e le valorose gesta de’ Trojani, e la tanto sanguinosa loro guerra. Quindi avanzandosi benignamente verso di Enea , cerca di togliere dal suo cuore ogni sospetto che gli sia fatto oltraggio né da lei, né da ‘suoi , anzi si dimostra desiosa d’ onorare un tanto Eroe , gli promette ogni sorta d’ aita e di sussidio , e gli offre Cartagine come sua città, se mai dimorarvi volesse, promettendogli, che dai Teucri ai suoi Tirj niuna distinzione farà. A tali detti rincorato Enea lietamente rivolgendosi ai suoi, l’ un dopo l’ altro abbraccia, e li conduce ai piedi della Regina , esprimendo che gli Dei sapranno compensare la di lei pietà. Ordina Didone che si mandino al mare agnelli , vettovaglie , frutta, e quanto è necessario ai Trojani. Enea pure spedisce Acate alle sue navi, onde a sé tosto meni Ascanio suo figlio, comandandogli insieme di portare in dono alla Regina diverse spoglie superbe salvate appena dal fuoco di Troja. Mentre questi ordini s’ eseguiscono , Didone cortesemente invita Enea a dimorare nel real palazzo, e commette che nei Tempj si facciano sacrificj e preci solenni, e che sia la città tutta in feste per ringraziare i Numi, e per onorare e sollevare i lunghi affanni sofferti dai miseri Trojani. Fa pure che sia preparata una gran caccia , e dopo tutte queste disposizioni si congeda graziosamente da Enea , e parte col suo corteggio. I Tirj ad esempio della loro Regina in ogni guisa concorrono a far onore ai nuovi ospiti. Indi sbarcano i Teucri lieti di sì benigno accoglimento , e di vedere tutti a salvameli lo i legni ed i loro amici. Enea , che frattanto era entralo nel Tempio per ringraziare i Numi d’averlo scampato da quel disastro, ne esce, ed accoglie fra le sue braccia il suo Ascanio, che da Acate gli è condotto insieme colle preziose spoglie dà donarsi a Didone, s’ cammina col caro figlio verso la Reggia. Uno stuolo di vezzose donzelle e di giovani Cartaginesi carichi di frutta e di fiori tutti  giulivi vanno al mare per incontrare i Trojani. Tutto è festa, tutto è gaudio , tutto è tripudio. Le agnelle e le vettovaglie d’ ogni sorta vengono trasportate alle navi Trojane , in mezzo alle allegre danze, ed alle grida di universale gioja.

ATTO SECONDO 

Gabinetto della Regina

Didone pensierosa ed inquieta sta fra se rivolgendo d’ Enea il legnaggio , il valore, e quello , che più impresso ha nell’ alma, il soave ragionare di lui, ed il dolce sembiante. Incontrandosi cogli sguardi sopra la statua di Sicheo ( suo defunto consorte ) si turba alquanto , quindi risoluta di discacciare dalla sua mente queste importune idee corre ad abbracciare la cara immagine del consorte cui rinnova tutte le proteste della più inviolabile fedeltà. In questo sopraggiunge la sua sorella Anna , che le chiede il motivo di quelle sue agitazioni. La Regina non ricusa di rivelare alla fida sorella le gravi angosce, cui l’ arrivo d’ Enea suscitò net suo cuore.

Che peregrin è questo , (le dice ) Che qui novellamente è capitato ? Vedestù mai sì grazioso aspetto? Conoscesti unqua il più saggio , il più forte E ’l più guerriero? Io credo Che dal cielo discenda Veracemente ! Io se non fusse Che fermo e stabilito ho nel cor mio, Che nodo marital più non mi stringa. Poiché ‘l primo si ruppe, solamente a lui Forse m’ inchinerei. Che a dirti il vero, Anna mia, da che morte e l’ empio frate Mi privar di Sicheo ; (accennando la statua ) Sol questi ha mosso I miei sensi , e ’l mio core.  Ma la terra m’ ingoj, e ’l ciel mi fulmini, E nell’ abisso mi trabocchi in prima Che io ti violi mai, pudico amore, ( Rivolgendosi alla statua di lui sospirando , e piangendo. )

Anna , che nutre tutto l’ affetto per la germana, l’ abbraccia , e con dolci carezze tenta di spegnere la sua afflizione: tuttavia disapprova eh’ essa voglia ostinatamente passare i suoi verdi, e floridi anni sempre sola , vedova , e sconsolata. La scusa e le concede che nell’ atto del dolore , e non amando alcuno abbia rifiutato il talamo di tanti Principi possenti, e ricchi; ma poiché al presente trova un oggetto capace di destare amore, perchè mal farsi a se stessa ritrosa? Le fa poi riflettere che il suo reame è cinto all’ intorno ed assediato da Prìncipi feroci ed invidiosi della sua grandezza ; che certamente benigno a lei si è mostrato il cielo facendo a’ suoi lidi questi legni approdare ; quanto onore , quanta gloria e vantaggio ne verrebbe se Enea divenisse suo sposo , e seco unisse le sue armi ; e finalmente le inculca di fargli degli onori , e di accarezzarlo per intrattenerlo , e renderselo amico. Essendo già alquanto inclinato a favore del duce Trojano il cuore della Regina, i detti di Anna infondono nel seno di lei lusinghiere speranze. L’ arrivo d’ Osmida che viene per annunziare Enea , tronca il colloquio della sorella. Il figlio d’ Anchise è introdotto col suo piccolo Ascanio accompagnato da alcuni Trojani, che portano le preziose spoglie già destinate in dono a Didone. All’ apparire del grazioso fanciullo e di Enea, la Regina non può abbastanza saziare la vista nel contemplare il vago aspetto del fanciullo , la ricchezza dei doni, e l’ illustre donatore; incomincia a poco a poco a dimenticare il suo Sicheo, e ad infiammarsi d’ Enea. Ascanio nel presentare a Didone il manto , ed il velo con graziosa semplicità le ne fa la storia , e così pure dello scettro, del monile e della doppia corona, cose tutte proprie, e salvate appena dalla mina di Troja; e con tanto sentimento , e vivacità superiore alla sua età accompagna le parole , che Didone ed Anna ne rimangono sorprese, ne possono trattenersi dallo stringerselo al seno, e dall’ accarezzarlo. Intanto il suono de’ corni , ed il rumoreggiar de’ Cacciatori , che adunansi intorno al palazzo, ed uno stuolo leggiadrissimo di faretrate donzelle invitano la Regina a sortire. Didone affida ad Anna e ad Osrnida la cura e il governo della citta durante là sua assenza, poi consegna alla custodia delle più fidate sue ancelle il giovinetto Ascanio , ma questi se ne duole, e quasi ne piange ; quindi rivolgendosi orgogliosetto alla Regina, che credile dice, che qui ozioso mi voglia stare come un bambino fra le carezze delle tue femmine? Poi con vivacità somma impugnando un dardo, dice a Didone: andiamo vedrai là alla foresta s’ io pure, saprò valermi di quest’arma. Gli astanti tutti rimangono sorpresi ai detti di così animoso fanciullo ; Didone lo bacia portando dolci sguardi sopra d’Enea, Osmida siccome occultamente invaghito di Didone , ma più ancora del regno di lei, diviene geloso dell’ accoglienza e delle distinzioni, che si fanno ad Enea, manifesta di nascosto ad Anna il sospetto che nutre. che la Regina possa divenire amante; ma l’ accorta Anna dissimulando lo schernisce dicendole: la Regina non ama nè te, nè il Trojano , ma piange e sospira sempre pel suo Sicheo , additando la statua. Frattanto la Regina dimette ogni regale insegna , e si veste d’arabo drappo ; ma succinta, armata d’arco qual Diana parte al fianco di Enea , seguita da regio stuolo di cacciatori Tirj e Frigj. Così separasi dalla sorella e da Osmida , che minacciando fa scorgere l’ odio , che ha già concepito pel favorito straniero.

Sebastien Bourdon, Morte di Didone, 1640

ATTO TERZO

Vasta foresta , che si ‘vede a traverso d’ un’ ampia grotta.

Dal più lontano fondo della selva alcuni soldati Gettuli cautamente vendono per esplorare ; e trovando deserto il luogo ritornano indietro per far avanzare il loro Re Jarba , il quale comparisce sopra un carro preceduto da Araspe, e seguito da numerosa schiera di soldati armati. Giunti alla volta della grotta , si arrestano , ed il Re discende dal suo carro. Depone in fretta le insegne reali, ed al romoroso suono di alcuni strumenti , e all’ abbajar de’ cani prende per quel momento altra direzione. Giungono in gran numero i cacciatori e le cacciatrici , chi di picche armati, e chi di zagaglia; altri con reti, ed altri con cani, cui il suono dei corni rende impazienti e sdegnosi al guinzaglio che li doma. I principali Tirj stretti in sella precedono la Regina , che montata sopra il suo ginnetto si avanza. I Frigi , ed il bell’Ascanio avanti a lei cavalcano ; ma di beltà feroce e grazioso Enea colla sua schiera le viene a lato simile in tutto al biondo Apollo. Tosto che i primi cacciatori sono penetrati nel più folto della selva, ecco uscire dai covili diverse fiere , che a torme fuggono spaventate dai balzi alla pianura scendendo. Arditamente i cacciatori su fervidi destrieri per la campagna le inseguono, mentre più lenti i pedoni piantano negli agguati le reti, onde chiuderne i passi, ed arrestarne l’ impeto. In un momento , e per tutta la selva chi questa belva investe , chi quell’ altra trafigge : il giovinetto Ascanio pure di molti colpi e molte prede ha l’ onore. Finalmente di sì lungo esercizio stanca essendo Didone, vuole a se stessa e agli altri tutti dare riposo e rinfresco. Ad un suo cenno il suono dei corni rimbomba per tutta la foresta, e tutti al suo volere aduna sotto la volta dell’ ampia grotta. Immantinente sono distesi al suolo molti drappi di porpora e molte pelli di tigri e di leoni , e la Regina la prima sopra vi si adagia in mezzo ai più distinti personaggi , e presso ad Enea. Tutti i cacciatori e le cacciatrici portando le loro prede in guisa di trofeo passano innanzi alla Regina in bell’ ordine distribuiti. Ascanio aneli’ esso è in questo trionfo , e depone ai piedi di lei le belve di sua mano uccise. Qui vengono portati e distribuiti molti vasi di squisiti liquori, molte vivande , e canestri di frutta , e , mentre ciascuno se ne ciba e si ristora , Ascanio disfida a tirare al segno le Tirie donzelle , delle quali è vincitore , ed ottiene in premio una corona.

Qui fattosi Didone un vaso porgere D’ oro grave e di gemme , ov’ era solito Né conviti, e né dì solenni e celebri Ber Belo , e gli altri che da Belo uscirono , Di fiori ornollo, e di vin vecchio empiendolo Oro così dicendo ; Eterno Giove , Priegoti ; che a’Fenicj ed a’ Trojani Fausto sia questo’ giorno , e memorando Sempre a’ posteri loro Voi co’ vostri favori e Tirj e Peni Prestate a’ prieghi miei di voto assenso. Ciò detto riversollo , e lievemente Del sacrato liquor la mensa asperse, Poscia ella in prima con le prime labbia Tanto sol ne sorbì , quanto n’ attinse. Indi con dolce oltraggio , e con rampogne A Bizia il die , che valorosamente A piena bocca infino a l’ aureo fondo vi si si tuffò col volto, e vi s’ immerse; Ciò seguir gli altri Eroi.

E quindi le danze leggiadrissime intrecciate dalle più belle e graziose donzelle , in cui non meno delle altre la Regina pure si esercita, tutta nel suo pensiero intenta a piacere all’ ospite suo prediletto. In questo si riempiono i vasi e le coppe.

Un novo plauso incominciano i Tirj,  Seguiro i Teucri ; e l’ infelice Dido Che già fea dolce con Enea dimora Quanto bevesse amor non s’ accorgendo a lungo ragionar seco si pose.

Frattanto dal fondo della foresta pel suono degli stromenti ricevono i cacciatori nuovo invito e desio , e già tutti solleciti ad impugnar le armi Veloci al còrso s od agili a gettarsi sopra i cavalli andar si vedono tutte in molo le schiere. Ma in questo si turba il cielo , e mormora , diluvia e grandina fra continuo scoppio di saette ; ciascuno fugge , e cerca ricovero né più prossimi asili. Enea diviso fra la paterna tenerezza , ed il pendere dell’ avvenente Regina , per la quale già occultamente sente palpitare il suo cuore, ora dell’ uno, ora dell’altra ne va in traccia smanioso per sottrargli al periglio. Didone però che immensamente desia di piacere al caro Duce , sfuggire non si lascia niuna occasione per rendersi a lui gradita, e perciò più che a se stessa pensando al fanciullo Ascanio, lo raggiunge , e sovra le sue braccia tutto smarrito lo mena salvo nell’antro: ivi lo colloca su di una pelle di tigre , e con tenere carezze confortandolo.

Ella con gli occhi, Col pensier tutto lo contempla , e mira , Lo palpa , e ‘l bacia , e in grembo lo si reca.

È questo il luogo , ove l’ infelice Regina trova la prima origine delle sue sventure. Divampando d’ amore per Enea , ella gli dichiara la sua passione , che divieti maggiore pei giuramenti scambievoli d’ inviolabile fedeltà. Ella si chiama già moglie di Enea , e lui suo sposo. Questa scena di sentimento viene troncala dagli arcieri, dalle donne , e dai fanti che di mano in mano sopraggiungono per rintracciare la Regina ed Enea. Universalmente giubilando di vederli salvi, tutto il convoglio di caccia riunito fa ritorno alla città.

Didone 

Ballo Eroico in sei atti

INCOMINCIATO
DA SALVATORE VIGANO
E TERMINATO DA SUO FRATELLO
GIULIO
da rappresentarsi
NEL REGIO TEATRO DI TORINO
nel carnovale del 1830
TORINO
presso Onorato Derossi Stamp. e Libr. del R. Teatro

ATTO QUARTO

Gran sala del trono nella Reggia di Didone

Molti Ministri e Magistrati della nobile Corte di Cartagine si radunano per trattare gli affari del Regno. Anna ed Osmida in mancanza della Regina assumendo le sue veci ricevono le informazioni , provvedono alle urgenze , e raccolgono le suppliche ad esse indirizzate. Non tarda però a comparire Didone fra pomposo corteggio di donne e uomini Tirj a fianco di Enea che viene seguito da Acate, e da molti suoi Teucri. Ciascuno dei Ministri e delle supreme cariche le fanno omaggio riverente di stima , e d’ affezione , a cui la Regina corrisponde con dolcezza e bontà, lodando lo zelo de’ suoi Ministri e Magistrati , e la fedeltà e disciplina d’ Osmida suo capitano.

Non solo per giustizia ella profonde questi elogj a ‘suoi vassalli , ma il fa insieme scaltritamente per indurli tutti concordemente a favorire il progetto che in sua mente va meditando. Passate queste cerimonie Didone fa cenno di voler parlare e deliberare su qualche importante affare del suo reame , tutti per ascoltarla le fanno circolo intorno con rispettoso silenzio. Incomincia la Regina dal porre innanzi ai loro occhi la particolare situazione del suo nuovo reame che trovasi esposto all’ invidia di tanti barbari popoli che lo circondano ; le guerre inevitabili cui bisognerà sostenere contra questi, ove , trovandosi in terre deserte, isolata, e femmina , potrebbe facilmente mancare di coraggio e di forze, e che diviene per essa troppo necessario il cercare un appoggio capace di sostenerla , e di difenderla.

Che , quantunque dopo che al cielo piacque di troncare il suo primo nodo conjugale avesse in suo cuore fermamente stabilito di non mai passare ad un secondo , tuttavia sottomettendosi alla necessità di guarentire se stessa, e di procacciare il maggior bene del suo popolo , viene finalmente a risolvere di sacrificare la propria volontà con eleggersi uno sposo capace di difenderla , ed insieme consolidare colla saviezza e prudenza del medesimo la prosperità e grandezza del nascente impero Cartaginese. A questo discorso della Regina tutta l’assemblea dà contrassegni d’approvazione, e tutti si mostrano desiderosi di conoscere il personaggio sovra cui cadrà la sua scelta. Osmida, che molto in se stesso confida, con zelo chiede a Didone che voglia indicar francamente la persona degna della di lei mano.

Allora la Regina rivolta ad Enea con teneri sguardi, e col sorriso di gioja sulle labbra a ciascuno lo addita dicendo , questi è il mio sposo, riconoscete in lui il più saggio, il più generoso ed il più guerriero; quegli egli è, che, unito a tanti prodi suoi seguaci, corrisponderà pienamente ai vostri voti. Esultanti i Tiri s’ affollano intorno a Didone congratulandosi della felice sua scelta, e risuonante la sala tutta di gioja, e di plauso, ciascuno si fa sollecito di recare sommessi omaggi ad Enea considerato già come Re di Cartagine. A questo maraviglioso ed inatteso avvenimento Osmida impallidisce , ed in segreto ne freme.

I Teucri costernati si turbano, ed Enea, che né loro sembianti legge il loro cuore , rimane sospeso fra l’ affetto di Didone e l’ amore della propria gloria. L’ annunzio di un ambasciatore del re Jarba , che chiede udienza dalla Regina , chiama tutta T attenzione delli astanti. Essa ordina che sia introdotto, ed ascende sul trono circondato da tutta la regale sua Corte. Jarba re de’ Mori bramando di vedere Didone ne viene come finto ambasciatore di se stesso, accompagnato da Araspe suo confidente. Egli in nome del suo Re chiede la mano di lei. Didone sdegnata dalla di lui alteriggia, lo disprezza , e se ne parte lasciandolo pieno di sdegno. Osmida , che per gelosia desidera di vendicarsi della Regina, rivela al Re de’ Mori le nozze da essa combinate collo straniero Enea. Jarba furibondo giura di trucidarlo. Il traditore Osmida promette d’introdurlo segretamente nella camera di Enea , a condizione che in premio di ciò gli ceda la sovranità di Cartagine , e che il Re per se tenga il possesso di Didone. Tutto ciò segretamente fra loro stabilito , partono per eseguire senza dimora i loro perfidi progetti.

ATTO QUINTO
Camera nella Reggia destinata ad Enea. Notte.
Inquieto Enea , che Didone possa finalmente piegarsi alle grandiose offerte del Re Jarba si mostra risoluto d’ accettare la di lei mano , mentre sta fermo in questo pensiere gli comparisce l’estinto suo padre Anchise , che con rigido volto lo rimprovera , e gli ordina per parte degli Dei di sciogliere da’ suoi legni il canape, e seguire il suo destino senz’ altra dimora. L’innamorata Regina viene nella camera per vagheggiare l’ adorato suo bene, ma in vece lo trova tutto costernato , e ne riceve il crudele annunzio che egli per volere del Fato è costretto di partire. Dolore e smanie di Didone. Jarba introdotto dal perfido Osmida lenta di uccidere a tradimento Enea , ma n’ è trattenuto dalla Regina , che tosto chiama le guardie per arrestarlo: ma in questo il fiero Moro si fa conoscere per il Re Jarba. Forte sorpresa di tutti. Tuttavia Didone non credendo ai suoi detti, sdegnata lo fa arrestare, e lo dà in custodia ad Osmida.

ATTO SESTO
Gran colonnato che introduce al Tempio di Giunone con mare in lontananza.
I Trojani tutti riuniti si lagnano afflitti di Enea che cosi traviando in amore interrompa la loro navigazione , e tradisca le belle loro speranze. Sopraggiunge Enea a partecipar loro la presa sua risoluzione di partire, ed ordina di allestire immantinente la flotta. Consolati i Teucri veggonsi all’ istante portare le sarte, le vele, i cordami, i remi , e molti altri loro bagagli , tutti al mare ridicendosi in fretta. Acate conduce il giovinetto Ascanio , e mentre tutti s’ incamminano alle navi, sopraggiunge Didone , che, informata del fatto, colle chiome disordinate e tutta in lagrime e disperata tenta persuadere l’infido Enea a non abbandonarla.
È combattuto da continue voci E quinci e quindi l’ agitato Eroe, E vivo sente nel gran cor l’affanno, Ma pur sta saldo in suo pensiero, e scorro A lui dagli occhi inutilmente il pianto; Ma mentre  Ei di Giove Rimembrando il volere , immoto il guardo tenea fisso nel suolo , ed a fatica Entro del core ei reprimea l’ affanno.
Acate lo prende , lo divide da lei, e seco lo trascina alle navi. La disperata e misera Regina cade in un estremo abbattimento ; ma scuotendosi poscia e tutta fuor di se stessa dona a’ suoi e rivoca nell’  atto stesso mille ordini diversi ; rimprovera Anna sua sorella come prima causa dei suoi mali; ordina immediatamente un rogo per consumare in quel fuoco ogni memoria dell’ infido e spergiuro suo amante: quando in mezzo a tante smanie tutta Cartagine è invasa dai Getuli guidati dal suo Re. Il traditore Osmida d’ accordo con lui gli ha resa la libertà , ed acconsentì che entrassero nella città le sue schiere armate. In questo mentre la flotta d’ Enea si allontana da quella costa. Il Re Jarba vedendosi signore di Cartagine fa prigioniere Osmida , ed impone a Didone o di dargli la sua mano, o di trarla qual schiava in Getulia. La sventurata e misera Regina rifiuta fremendo l’ abborrita mano, sale precipitosamente la scala del tempio, e rivolta alle fuggitive vele, scongiura gli Dei a far le sue vendette , e folgori e turbini e tempeste invoca dal cielo perchè rendano a lui funesti i venti e le onde. Indi fra il tumulto degli affanni forsennata e furiosa impugna la Dardania spada, si trafigge il seno, precipitasi sull’ardente rogo, e perdesi fra le fiamme e i densi globi di fumo. La rabbia e le minaccie (!) del deluso Jarba , lo spavento del traditore Osmida, la costernazione degli atterriti Tirj , i singulti, le grida di Anna e delle accorse donzelle danno fine a si tristo e spettacoloso avvenimento.

La Didone fa parte del progetto La ricerca diventa Arte

Una nuova vita per le opere sconosciute di Ludwig van Beethoven: Un’ esplorazione artistica a cura del pianista maestro Sebastiano Mazzoleni

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