Recast (Kleine Fuge) per orchestra
(2015) – Ludwig Van Beethoven – Francesco Trocchia.
Quel Beethoven che ci parla ancora
A differenza di Giuseppe Verdi, che diede ordine di bruciare alla sua morte molte carte “segrete” contenenti i propri abbozzi, Ludwig van Beethoven preservò a beneficio dei posteri una mole di album e taccuini alle cui pagine affidava la formulazione di pensieri, appunti, osservazioni, abbozzi e progetti musicali. Paradossalmente, l’involontario lascito verdiano è stato gelosamente conservato dai discendenti nella Villa Verdi di Sant’Agata fino a pochi anni fa, mentre l’eredità beethoveniana, volontariamente costituita, dopo la morte del compositore conobbe per diversi decenni il destino della dispersione.
Con Beethoven-Trocchia RECAST (Kleine Fuge) del 2015, il compositore milanese compie un’operazione di recupero – si perdoni il termine riduttivo – e di elaborazione di un abbozzo di fuga di mano beethoveniana, rimasto allo stato di frammenti su carte manoscritte che, spentosi Beethoven, passarono di mano in mano: dall’editore viennese Artaria al musicista e collezionista tedesco Ludwig Landsberg (1807-1858), per poi approdare nel 1862 alla Biblioteca Reale di Berlino.
Il primo grado di elaborazione subìto dall’abbozzo di fuga – tre pagine databili intorno al 1800, raccolte nel quaderno di schizzi noto come Landsberg 7 – fu la trascrizione completata da Karl Lothar Mikulicz, data alle stampe nel 1927 da Breitkopf & Härtel1. Un’operazione solo apparentemente neutra: come non mancano mai di sottolineare gli studiosi di paleografia, ogni trascrizione comporta una menomazione di qualche sorta di ciò che l’oggetto originale si sforza di comunicarci attraverso la mera dimensione visiva.
In questo caso non abbiamo a che fare con un antico testimone, precursore della notazione moderna; sicuramente però la trascrizione di Mikulicz, con l’obiettivo di una riproduzione fedele, ma leggibile degli abbozzi, comportò certamente alcune scelte per avvicinare all’occhio del fruitore moderno un manoscritto redatto più di un secolo prima per l’uso personale del suo estensore. L’oggetto finale comporta la neutralizzazione di una grafia individuale, che insegue un’idea nei suoi punti salienti e mette nero su bianco solo ciò che è ritenuto essenziale. Gli appunti o gli schizzi, per la loro indefinitezza, permettono di scoprire tracce di natura psicologica, nascoste in una miriade di dettagli – la fretta di scrivere può tradire un’urgenza creativa e ciò non è poco, per gli studiosi che più confidano negli apporti biografici di un documento.
A quasi cento anni di distanza da quella prima rivisitazione dei frammenti beethoveniani, Francesco Trocchia ha trovato l’ispirazione necessaria a costruirvi sopra un altro oggetto. Spiega, infatti, di non aver perseguito una mera finalità filologica, da restauro conservativo: «Ho utilizzato – si legge nella sua nota introduttiva a questa partitura – tutto il materiale compositivo di Beethoven colmandone i vuoti e creando unitarietà in una nuova composizione».
I problemi di ordine stilistico ed estetico che la scelta comporta rimandano in parte a quelli che Luciano Berio, esempio eloquente fra i diversi che si possono citare, affrontò nel finale dell’incompiuta Turandot, costruito su frammenti pucciniani. Berio dovette integrare il suo lavoro in un tessuto musicale pre-esistente, che rendeva inevitabile il confronto con lo stile del primo Novecento. Componendo decenni dopo la stesura di quei frammenti – decenni che hanno permesso di approfondire, se non proprio consolidare, l’analisi e il giudizio nei riguardi dell’idioma pucciniano – Berio poté mettere in luce elementi salienti che solo il tempo ci fa percepire con chiarezza crescente, come la evidente modernità contenuta in quella fatica ultima di Puccini.
Accattivante è il paragone di RECAST con un altro lavoro di Berio, quello composto a partire dagli schizzi di Franz Schubert per una Decima Sinfonia in re maggiore (D. 936A). In Rendering, per orchestra, del 1988 – 1990, l’autore volle accostarsi al testo musicale ottocentesco con un approccio paragonabile, spiegò, a criteri di restauro moderni, tendenti a ripristinare i colori originali ma senza occultare i danni e i vuoti lasciati dal
tempo2. Berio completò i frammenti orchestrandoli secondo la prassi schubertiana (per l’organico usò come modello l’Incompiuta), collegandoli fra loro mediante brevi sezioni di raccordo composte ad hoc, evocative dell’ultimo Schubert e da suonare sempre pianissimo. Il musicologo americano David Metzer3 ha definito quello di Berio un restauro tutto sommato creativo, che sortisce l’effetto di evocare, rispetto al presente, il senso della lontananza e della frammentarietà di quegli schizzi ottocenteschi che non ci restituiranno mai, malgrado i tentativi di farlo, la Decima Sinfonia così come l’avrebbe voluta Schubert.
Simile punto di partenza – l’immissione nella contemporaneità dei frammenti musicali – ma esiti molto diversi nel caso di Beethoven-Trocchia RECAST (Kleine Fuge): diverso è infatti l’approccio nei confronti del testimone, diverso è l’intento poietico. Con i suoi richiami ad epoche, stili e generi differenti, la composizione di Trocchia finisce per diventare una meditazione sul valore attuale di una forma musicale perpetuatasi nel tempo, la fuga. Il compositore si confronta non solo con il problema di leggere Beethoven nella prospettiva storica offerta dal nostro tempo, ma anche con quello, strettamente compositivo, di permettere alla musica di Beethoven di allungare un dito fino a toccare la nostra, instillandovi il suo soffio vitale: quel gesto al centro della michelangiolesca Creazione di Adamo. La lontananza di quei frammenti dalla realtà musicale odierna è chiaramente avvertibile; ma essi, pur incompleti e irrealizzati, sono ancora in grado di ispirare il compositore dei nostri giorni. La frattura non è insanabile, la perdita non è irreversibile; i frammenti divengono la testimonianza di un passato irripetibile, ma al tempo stesso un lascito da cogliere, perenne, senza data di scadenza.
L’orchestrazione è lo strumento principe che Trocchia utilizza per fondere le tradizioni musicali, rendendole partecipi a pieno diritto del linguaggio odierno.
Paola Teresa Rossetti
1 KARL LOTHAR MIKULICZ (a cura di), Fin Notierungsbuch von Beethoven aus dem Besitze der Preussischen Staatsbibliothek zu Berlin, Leipzig, Breitkopf & Härtel, 1927, pp. 56-58.
2 La dettagliata nota dell’Autore, pubblicata in partitura, è leggibile anche sul sito del Centro Studi Luciano Berio: www.lucianoberio.org/node/1447?1113584796=1 .
3 DAVID METZER, Musical Decay: Luciano Berio’s “Rendering” and John Cage’s “Europera 5”, «Journal of the Royal Musical Association» (2000), vol. 125, n. 1, pp. 93-114. Visionato online il 23.04 2020: www.jstor.org/stable/3250683 .
Beethoven, still talking to us
Unlike Giuseppe Verdi, who wanted a sizeable part of his “secret” papers and sketches to be burned after his death, Ludwig van Beethoven preserved for posterity a great deal of his albums, sketchbooks and notebooks, where he wrote down his thoughts and observations, sketches and composition projects. Paradoxically, Verdi’s unplanned legacy was jealously guarded by his heirs at Villa Verdi in Sant’Agata until a few years ago, while Beethoven’s voluntary bequest was subject to dispersion after the composer’s demise, for several decades.
Through Beethoven-Trocchia RECAST (Kleine Fuge), completed in 2015, the Milanese composer aims to recuperate – if one may say so – and re-elaborate one of Beethoven’s early sketches, which survived in fragmentary form on manuscript papers that passed through various owners after the musician’s death: from the Viennese publishing firm Artaria to German musician and collector Ludwig Landsberg (1807-1858), finally ending up at the Royal Library in Berlin in 1862.
The fugue sketch – three pages datable to circa 1800, included in the sketchbook known as Landsberg 7 – was reviewed for the very first time by Karl Lothar Mikulicz, who made a complete transcription of the sketchbook, published by Breitkopf & Härtel in 19271. Such a process is by no means a neutral one: as palaeographers never fail to stress, each transcription entails a loss of some sort of the contents that the original object tries to convey through its visual appearance.
While in this case we are not dealing with an ancient witness preceding modern notation, Mikulicz’s transcription, intended to provide a faithful, at the same time readable version of the sketches, certainly involved a few choices by the editor, so that a manuscript written over a century earlier, and meant for the writer’s personal use, could become more comprehensible to the modern reader. The final result normally entails neutralizing someone’s very own writing, which reflects the writer’s attempt to capture an idea in its fundamentals, leaving on paper only what is deemed necessary. Because of their indefinite nature, notes and sketches can reveal clues of a psychological sort, hidden in a number of details – writing in a hurry can betray a creative urge and that is no small thing for the scholar who strongly relies on the biographical information that documents can provide.
Almost a century after that very first review of the sketches, Francesco Trocchia has found the necessary inspiration to build something new upon them. The Milanese composer explains he was not guided by merely philological, restoration-oriented criteria in his work. «I used – we read in the Author’s note published in this score – all the composition material by Beethoven, bridging gaps and creating unity in a new composition».
The stylistic and aesthetic problems involved are partly the same as those faced by Luciano Berio – an eloquent example amongst many – when he composed his finale for the unfinished Turandot, based on Puccini’s original fragments. Berio had to fit his work into a pre-existing score, which made a revisitation of the style of the early 1900s unavoidable. Composing decades after the sketching of those fragments – decades that were crucial for the analysis and evaluation of Puccini’s idiom, although work was still in progress -, Berio was able to highlight key elements which only the passage of time shows in their absolute clarity, such as the unmistakable modernity of that late work of Puccini’s.
Another work by Berio, composed upon Franz Schubert’s sketches for the planned Tenth Symphony in D major (D. 936A), provides the subject for a fascinating comparison. In writing Rendering for orchestra (1988-1990), Berio approached Schubert’s sketches through modern restoration criteria whose purpose, he explained, is to bring back the original colours without effacing the damages and gaps brought about by
time2. Berio completed the fragments by orchestrating them in a Schubertian fashion – the instrumentation chosen is the same as that of the “Unfinished” Symphony no. 8. He then linked the fragments, by inserting between them specially composed brief sections, reminiscent of Schubert’s later style, to be constantly played pianissimo. According to American musicologist David Metzer3, Berio’s effort was after all a creative restoration, one that succeeds in making the listener perceive the remoteness and fragmented nature of those sketches. Sketches which, despite the attempts to do so, will never bring to life the Tenth Symphony such as Schubert had devised it.
A similar starting point – looking at the sketches through a contemporary perspective –, but quite a different result, we find in Beethoven-Trocchia RECAST (Kleine Fuge). The composer’s aim and attitude in approaching the fragments are of quite a different nature, compared to Berio’s.
By evoking different periods, styles and genres, Trocchia’s work becomes a reflection on the timeless significance of a time-honoured musical form, the fugue. Through this work of his, the composer strives not only to integrate Beethoven’s musical text into the present, but also to allow Beethoven’s work to instil its vital breath into today’s music – the powerful gesture pictured in Michelangelo’s Creazione di Adamo.
The remoteness of those fragments from the contemporary idiom and expression can be clearly heard but, despite their incompleteness, the sketches can still inspire the composer. The fracture is not without repair, the loss is not irreversible. The fragments stand witness to a past which cannot be repeated; at the same time, they constitute an everlasting legacy to seize, with no time limit to do so.
The orchestration is the preferred medium used by the composer to blend together past and present, allowing tradition to play a key role in today’s musical scene.
Paola Teresa Rossetti
1 KARL LOTHAR MIKULICZ (ed. by), Fin Notierungsbuch von Beethoven aus dem Besitze der Preussischen Staatsbibliothek zu Berlin, Leipzig, Breitkopf & Härtel, 1927, pp. 56-58.
2 See the Author’s Note published with the score, also available on the web page provided by the Centro Studi Luciano Berio: www.lucianoberio.org/node/1447?1113584796=1 .
3 DAVID METZER, Musical Decay: Luciano Berio’s “Rendering” and John Cage’s “Europera 5”, «Journal of the Royal Musical Association» (2000), vol. 125, n. 1, pp. 93-114. Consulted online 23.04 2020: www.jstor.org/stable/3250683 .
Biamonti 250 – Fuga (frammenti non troppo leggibili), pagine 60 e 62 del quaderno Landsberg 7, corrispondenti alle pagine 56 e 58 del Mikulitz. Il tema di pagina 60 (Mikulitz pagina 58) è simile a quello dell’abbozzo Biamonti 50 “Nenne nicht das Schicksal grausam”. Gli abbozzi si trovano nel Quaderno di Schizzi Landsberg 7 alle pagine 60, 61, 62 complete. Non si sa perché Beethoven, mentre stava studiando la Sonata per violino e pianoforte op. 24, la sonata per pianoforte op. 26, la II Sinfonia op. 36 e “Le Creature di Prometeo op. 43, abbia avuto la necessità di abbozzare e sviluppare questa fuga in re- e perché l’inizio della fuga stessa non lo si trovi nella prima di queste 3 pagine ma nella terza (pagina 62). E’ comunque evidente che in queste 3 pagine tutta l’attenzione di Beethoven era concentrata sullo sviluppo di una fuga.
Nota dell’autore ai frammenti Beethoveniani – Author’s note to the Beethoven fragments
di Francesco Trocchia
Nota dell’autore ai frammenti Beethoveniani
Nella composizione Recast (Kleine Fuge) ho utilizzato tutti i frammenti che si trovano alle pagine 60-62 del quaderno Landsberg, (dal suo primo possessore: Paul Landsberg di Breslau) che corrispondono alle pagine 60-62 del Mikulicz. Epoca: 1799-1800.
Riporto le tre pagine dei frammenti originali, nell’ordine in cui le ho utilizzate ma con alcune indicazioni aggiuntive colorate:
- in verde: modifiche “grafiche” per rendere più leggibili i frammenti;
- in rosso: i numeri di battuta della partitura della composizione nella quale sono stati utilizzati i frammenti;
- in blu: indicazioni di dettaglio su come sono stati realmente utilizzati i frammenti.
Alcune precisazioni sulle indicazioni in blu che sono riferite a:
- chiavi che ho utilizzato per stabilire le altezze delle note;
- alterazioni che appaiono omesse sui frammenti[1] e comunque utilizzate nella mia composizione;
- note cancellate nei frammenti ma che ho utilizzato;
- note o alterazioni barrate che non ho utilizzato nella composizione;
- cambi di valore;
- legature di valore per quelle note nei frammenti che ho legato a quelle già presenti nella mia composizione;
- 8va e 15ma per quei frammenti utilizzati in modo trasposto nella composizione;
- parentesi quadre per quella parte di frammenti non citati in forma letterale nella composizione ma che ho utilizzato sotto forma di elaborazione.
[1] Mi riferisco alla notazione della nota si bemolle, non indicata anche ove palesemente necessaria.
Author’s note to the Beethoven fragments
Recast (Kleine Fuge) contains all the fragments found on pages 60-62 of the Landsberg notebook (by the name of the first owner: Paul Landsberg of Breslau), corresponding to pages 60-62 in Mikulicz. Period: 1799-1800.
Below are the three pages containing the original fragments, reproduced in the order in which I have used them, with some additional colored notes:
- green: “graphic” changes designed to make the fragments more readable;
- red: bars in which the fragments were used;
- blue: detailed indications on how the fragments were actually used.
Some clarifications on the blue notes, which refer to:
- clefs that I used to indicate the pitch of the notes;
- alterations omitted in the fragments[i] but used in my composition;
- notes deleted in the fragments but used in my composition;
- notes or alterations crossed out, and not used in my composition;
- changes in note values;
- ties for those notes in the fragments that I joined to those already present in my composition;
- 8va and 15ma for fragments that are transposed in my composition;
- square brackets for fragments not quoted in their original form, but further developed in my composition.
[i] I refer to the B flat missing from the key signature, not indicated even where clearly necessary.
Le musiche ed i testi di questa pagina sono stati curati da Francesco Trocchia . Chi volesse contattare il curatore, lo può fare tramite il nostro modulo di contatto.
L’ introduzione all’ opera è stata curata da Paola Teresa Rossetti, laureata in Discipline storiche, critiche ed analitiche della musica al Conservatorio “G. Verdi” di Milano. Pubblichiamo i testi col permesso di