Opus 123 Missa solemnis, per soli, coro, orchestra e organo
I) Kyrie (Assai sostenuto) – II) Gloria (Allegro vivace) – III) Credo (Allegro ma non troppo) – IV) Sanctus (Adagio) – Praeludium (Sostenuto ma non troppo) – V) Benedictus (Andante molto cantabile e non troppo mosso) – VI) Agnus Dei (Adagio)
Opus 123 Missa solemnis, per soli, coro, orchestra e organo, op. 123, dedicata all’arciduca Rodolfo d’Austria, cardinale e arcivescovo di Olmütz, 1819 – metà 1823, pubblicata in partitura, parti vocali e d’orchestra e riduzione per pianoforte a Magonza, Schott, marzo-aprile 1825. GA. n. 203 (serie 19/1) – B. 123 – KH. 123 – L. IV, p. 141 – N. 123 – T. 229.
Il manoscritto originale (escluso quello del Gloria, che si ignora oggi dove sia) è conservato nella Deutsche Staatsbibliothek di Berlino. Gli abbozzi sono riferiti dal Nottebohm. Alla partitura sono apposte le parole: “Von Herzen möge es wieder zu Herzen gehen” (Dal cuore, possa andare al cuore). La Messa avrebbe dovuto essere eseguita in occasione dell’insediamento dell’arciduca Rodolfo d’Austria (che era stato nominato arcivescovo il 4 giugno 1819) nella sede di Olmütz, ma nel corso del lavoro la concezione dell’opera si ingrandì e si approfondì talmente da richiedere per il suo definitivo compimento un periodo di tempo molto maggiore. La partitura fu offerta in sottoscrizione al prezzo di 50 ducati per copia. Primi sottoscrittori furono l’imperatore di Russia, il re di Prussia, il re di Francia, il re di Danimarca, il principe elettore di Sassonia, l’arciduca di Darmstadt, l’arciduca di Toscana, il principe Galitzin, il principe Radziwill, la Società « Cecilia » di Francoforte. Una grande esecuzione, limitata però al Kyrie, al Credo e all’Agnus Dei ebbe luogo il 7 maggio 1824 nel teatro della Kärntnertor a Vienna in un concerto, rimasto celebre, di tutte opere nuove di Beethoven. A fianco di Umlauf, indicava il movimento al principio di ogni pezzo «prendendo parte», come era detto nel manifesto pubblico, « alla direzione dell’insieme ». Si debbono però ricordare altre due esecuzioni (integrali): una, precedente, del 18 aprile 1824 presso la Società Filarmonica in Pietroburgo, per opera del principe Galitzin; l’altra, di qualche anno dopo, il 29 giugno 1830 a Warnsdorf in Boemia.
I. Kyrie – Assai sostenuto. Mit Andacht. Orchestra: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, timpani, archi e organo. Alla triplice invocazione del testo (Kyrie, Christe, Kyrie) corrispondono tre parti musicali distinte. La prima (Kyrie) è preceduta da una breve introduzione dell’orchestra che ne preannuncia e fissa il carattere espressivo. Il brano è essenzialmente corale, ma i solisti vi partecipano in principio come gli eletti di una moltitudine, riprendendone ciascuno a sua volta il grido ed elevandone l’implorazione. Nella seconda parte un vocalizzo (Eleison) si avvolge intorno al tema (Christe) più lento, d’una dolorosa immanenza. Per una certa affinità d’espressione l’episodio può esser messo in relazione con il Miserere del “Qui tollis” e il primo “Agnus Dei”. Al quartetto dei solisti si innesta il coro, componendosi infine in pianissimo. Poi l’orchestra torna al raccoglimento dell’introduzione iniziale, e si svolge così a terza parte (Kyrie eleison) diversa tuttavia dalla prima per la tonalità (solo alla fine ricondotta a quella originaria), il fraseggio, le modulazioni, e serenamente conclusa.
II. Gloria – Orchestra: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, controfagotto, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, archi, organo. È impiantato sopra un tema di slancio, che accoglie in sé la fisionomia di quello gregoriano: intorno ad esso le ripercussioni del ritmo, l’innalzarsi, il gonfiarsi, l’intrecciarsi dei vocalizzi creano insieme l’immagine della folla giubilante e rendono l’impressione festosa interiore. “Et in terra pax” ha invece un carattere pastorale. Il distacco delle voci dal registro superiore al grave e il trapasso delle sonorità danno luogo ad un contrasto analogo a quello del coro: “und Fried auf Erden” (e pace sulla terra) del Messia di Händel, autore, come si sa, molto caro a Beethoven. “Laudamus te, benedicimus te” sono lanciati dalle quattro voci corali concordi, con lo stesso tema del Gloria.
Questa irruente festosità per poco interrotta dall’”Adoramus te”, che con grave dolcezza risolve in accordo perfetto maggiore, si rinnova nel “Glorificamus te” innalzandosi e diffondendosi, pur con la breve interruzione di un altro “Adoramus te”. L’improvviso piano dell’ultimo accordo orchestrale e il trascolorare della modulazione ci portano nell’atmosfera quasi languida del “Gratias agimus” intonato dai solisti seguiti dal coro. Nuova irruzione corale sul tono del Gloria è quella del “Domine Deus, rex celestis. Domine Fili Unigenite” è intonato dai solisti su un motivo che ricorda il “Qui tollis” della Messa in do. Il coro a sua volta riprende con slancio: “Jesu Christe”, e, dopo un ritorno ancora del tema del Gloria “Domine Deus, Agnus Dei, Filius Patris”. Il “Qui tollis”, a differenza della prima Messa, si presenta spezzato in frammenti che passano dal coro ai solisti modulando con grande frequenza. Un senso di maggiore dolcezza e fiducia anima il “Suscipe deprecationem nostram”.
“Qui sedes ad dexteram Patris” è intonato dal coro su un ritmo solenne; poi dal successivo murmure corale fiorisce il canto dei solisti “Miserere nobis”; e l’invocazione della misericordia si diffonde nelle voci dei solisti e del coro con una commozione veemente e implorante. Fortissimo risuona il “Quoniam tu solus sanctus, tu solus altissimus Jesu Christe, cum Sancto Spiritu, in gloria Dei Patris”, introducendo la fuga sull'”Amen”. Il ritorno, alla fine di questo, del “Gloria in excelsis Deo” in movimento Presto, porta l’esaltazione ad un grado frenetico nell’incalzare del ritmo e dei trapassi tonali. L’ultimo grido si svincola dall’accordo strumentale e risuona solo nelle voci come un eco infrenabile ripercosso dal cielo.
III. Credo – Allegro ma non troppo Orchestra: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, controfagotto, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, archi, organo. La professione di fede è proclamata dal coro con il tema iniziale ed essenziale: “Credo, credo” (qualche anno dopo Beethoven lo ricorderà ancora scrivendo su di esso anche un canone per l’ufficiale curlandese Dusterlohe, adattandovi le prime parole: “Gott ist eine feste Burg” — Dio è la mia salda rocca — di un noto inno luterano), a cui si intrecciano quelli concomitanti: “et in unum Deum, Patrem Omnipotentem, ecc.”, ove tanto l’energia del movimento quanto la compattezza della armonia e del ritmo ribadiscono il carattere fondamentale « eroico ». Non vi manca tuttavia qualche impressione attonita o mirifica: “et invisibilium… ante omnia saecula”. L’ascesa di un nuovo tema, il cui ritmo si slancia da una voce all’altra sovrapponendosi in armonie sempre più chiare, come ripercosse di cielo in cielo, magnifica la Divinità: “Deum de Deo, lumen de lumine”. Come un inno marziale risuona “Consubstantialem Patri” e poi, dopo il grave “Qui propter nos homines”, il pittoresco “Descendit de caelis”.
L’incarnazione, la crocifissione, la morte e la sepoltura di Gesù sono di un carattere più intimo. “Incarnatus est” è intonato su una melodia di fisionomia gregoriana dal tenore, seguito dagli altri solisti e poi dal coro: mormorato quasi come in una contemplazione del mistero, e risolto ancora dal tenore: “et homo factus est”. L’ultima sua nota cade su un fondo orchestrale diverso, che annuncia la Passione con un tema duro, doloroso, sussultante; seguono nelle voci e nell’orchestra gli episodi sempre più desolati della crocifissione, della morte, della discesa nella tomba, integrandosi in un quadro unico di tinte ognora più cupe fino all’ultimo mormorio del coro: “et sepultus est”. “Resurrexit tertia die secundum scripturas” è intonato dal coro prima, poi dai tenori e poi da tutti, impetuosamente — nel silenzio degli strumenti come una sovrapposizione di squilli vocali. Subito dopo si snodano nel canto e nell’orchestra, dalle sonorità più gravi, scale ascendenti che incalzandosi e sovrapponendosi rendono con senso spaziale quasi fisico “Ascendit in coelum”. Il coro continua: “Sedet ad dexteram Patris”, appoggiato ad un tema orchestrale d’una giovialità quasi rustica.
Con le ultime parole “Cum gloria”, l’animazione giubilante si spegne sopra una scala discendente di archi e legni, che conduce al do bemolle di un trombone nel silenzio di tutti gli altri strumenti. È l’appello del giudizio universale, che poi le voci (prima i contralti sostenuti da due tromboni e dai corni, poi tutto il coro appoggiato dalla massa orchestrale) conclamano. Segue un episodio di violento contrasto fra la parola “vivos”, tre volte sillabata su accordi gridati a ritmici intervalli, e l’altra “mortuos” cupa, strascicata e risolvente in unisono con impressione di vuoto o di annientamento.
Il ritorno del tema rustico gioviale porta le voci al “Cuius regni non erit finis”, coronato anch’esso da tre caratteristici Non fortemente scanditi: l’ultimo assorbito nell’ordine eroico del tema del Credo, che ritorna dando luogo ad un particolare episodio, in cui, mentre alcuni gruppi di voci corali affermano reiteratamente “Credo, credo” sulle note del tema stesso, le altre, accompagnandone il movimento con più affrettata successione di note e di parole, formulano gli articoli dogmatici: “Credo in Spirtium Sanctum Dominum et vivificante, qui ex Patre Filioque procedit, qui cum Patre et Filio simul adoratur et conglorificatur, qui locutus est per prophetas: credo in unam sanctam catholicam et apostolicam Ecclesiam; confiteor unum baptisma in remissione peccatorum”. Il sentimento entusiasta fondamentale della fede ne assorbe così incondizionatamente in sé gli articoli singoli. Una progressione concorde porta il tema alla forma conclusiva: “Et expecto resurrectionem …” Alla parola “mortuorum” tutte le voci discendono in piano, per ascendere subito dopo di nuovo proseguendo: “Et… et vitam venturi saeculi, amen”.
Su queste ultime parole si svolge la fuga finale. Il tema è giulivo, ma anche volontario e affermativo nel suo insistente martellamento, per quanto addolcito dai vocalizzi che lo avvolgono. Nella stretta l’ascesa degli “Amen” in progressione dall’una all’altra voce e quella più massiccia di “Et vitam venturi saeculi” sopra il tonante pedale dell’organo, dei timpani e dei contrabbassi — interrotta dagli altri “Amen”, gridati a ritmici intervalli — giunge, come al culmine d’una vetta conquistata a fatica, al Grave, in cui la massa corale condensa nel movimento solenne le sue energie finali. Poi il quartetto dei solisti porta il canto in una regione di spiritualità superiore: forse non a caso lo spunto melodico dei soprani ricorda quello dell’aria “komm, Hoffnung” (vieni, speranza) nel Fidelio. La moltitudine si sottomette a questo canto, seguendolo con il leggero fraseggio delle sue note staccate. Il ritmo fondamentale e affermativo del tema torna ora dolce e pacato negli strumenti e nelle voci, poi ancora una volta, fortissimo, quasi grido di guerra contro ogni assalto nemico, in un “Amen” due volte ripetuto a ritmici intervalli. Subito dopo le sonorità strumentali si sottilizzano e alleggeriscono, snodandosi, rarefacendosi in linee divergenti verso l’acuto e il basso, per comporsi in dolce gravità nella chiusa.
IV. Sanctus, Präludium e Benedictus Orchestra: Nel Sanctus e Benedictus-. 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, controfagotto, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, archi, organo. Nel Präludium. 2 flauti, 2 fagotti, viole, violoncelli, contrabbassi, organo. La particolare atmosfera dell’Adagio del Sanctus è creata, prima che dalle voci, dall’orchestra (si noti qui l’assenza dei violini, flauti e oboi, l’impiego caratteristico degli ottoni, dei clarinetti e fagotti, dell’organo, dei violoncelli e delle viole divisi), che annuncia con devozione (come già il Kyrie) un tema lento in ascesa per imitazioni, a cui ne segue un altro nei tromboni d’un certo colore ieratico. Il canto si svolge sulla base del primo tema e richiama anche analogicamente l’introduzione del Kyrie. Al raccoglimento si unisce un senso d’attesa fervido, adorante, a cui risponde improvvisamente l’irruzione dell’Allegro pesante fugato: “Pleni sunt coeli gloria tua; hosanna in excelsis” sostenuto da tutta l’orchestra, che ci riporta allo spirito del “Gloria in excelsis Deo”. Segue un altro “Hosanna” egualmente fugato, ma più snello nel suo rapido movimento (Presto 3/4).
La pagina strumentale del Präludium consacra il momento che nella celebrazione liturgica segue all’acclamazione del Sanctus e durante il quale si compie la transustanziazione. Poi, sulle ali di una melodia del violino e dei flauti, che sembra discendere da regioni eteree, la moltitudine esalta l’umile ed immenso trionfo del suo Signore: “Benedictus qui venit in nomine Domini” – Andante molto cantabile – La melodia si adagia nella pace di un ritmo che potremmo dire pastorale, scandito con delicata solennità da un accompagnamento d’ottoni. Dopo la prima entrata dei bassi, l’episodio si svolge per qualche tempo nella sola orchestra; poi i solisti (contralto e basso, poi soprano e tenore, poi tutti) intonano a canone la stessa melodia, a cui si intrecciano le flessuose volute del violino. Le voci della moltitudine, successivamente elevandosi da vari gruppi corali, unendosi in una acclamazione unica, poi di nuovo divise e sovrapposte, continuano il canto e lo concludono. Una ripresa dei solisti si svolge secondo il primo modello, per quanto in forma abbreviata, proseguendo e concludendo con l’intervento del coro, limitato questa volta alla triplice acclamazione ascendente: “In nomine Domini”. Alla fine, come in una risoluzione di movimento dopo la stasi contemplativa, i solisti intonano l’”Hosanna”, dando l’impulso all’ascesa in fugato del coro, che eleva l’acclamazione “in excelsis”. Con il ritorno, nelle voci e nell’orchestra, del Benedictus la pagina conclude piamente.
V. Agnus Dei – Orchestra: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, timpani, archi. Il senso di inquietudine, latente anche in altri punti della Messa, trova nell’”Agnus Dei” lo sbocco in una forma più libera da preoccupazioni di stile o di tradizione. Beethoven ha compenetrato l’uno nell’altro gli elementi musicali diversi in cui si esprimono rispettivamente le parole “miserere” e “pacem” (cosicché in mezzo all’inno pacifico riaffiora l’invocazione alla misericordia; e l’eco del turbamento rimane, per quanto attutito, fin nelle ultime battute); ha dato inoltre una particolare intensità drammatica all’invocazione medesima e uno speciale colorito romantico all’effusione del sentimento di pace. La prima parte è una desolata preghiera affidata in prevalenza alle voci dei solisti: seguiti in fine dal coro che ripete lentamente, quasi funereamente, in una curva di crescendo e diminuendo: “Miserere nobis”. L’ultimo “Agnus Dei”, modulante, s’innalza con trepidazione: come se la moltitudine in preghiera scorgesse improvvisamente nell’alto un chiarore di speranza. “Dona” intonano i soprani, “Dona” proseguono i bassi, poi i contralti e i bassi insieme; e dalla graduale discesa delle voci si forma la serena armonia di re maggiore, in cui sorge il canto rispondente al mutato corso d’affetti stabilito dalle parole: “Dona nobis pacem”.
Beethoven ha qui annotato sulla partitura: “Preghiera per la pace interna ed esterna”. Nell’epoca fortunosa che l’Europa aveva attraversato durante il periodo napoleonico lo spirito della guerra era penetrato un po’ dappertutto; gli echi delle trombe, dei tamburi, dei fragori e dei turbamenti bellici vibravano ancora nel ricordo di Beethoven, toccando la sua sensibilità d’uomo e d’artista. E come già Haydn aveva introdotto nell'”Agnus Dei” di una Messa in do maggiore del 1796, denominata appunto “in tempore belli”, una invocazione contro i pericoli della guerra, adombrando in un sobrio ma caratteristico impiego di timpani, corni e trombe il frastuono dei rivolgimenti militari, così qui il maestro ricorre ad un espediente musicale analogo, al quale dà però una consistenza artistica, una intensità drammatica, una fantasia poetica ed uno sviluppo di gran lunga maggiori.
Con la discesa delle voci corali, in tono di re maggiore, sulle parole “Dona nobis pacem”, entriamo di nuovo nel definitivo campo pastorale, tanto caro sempre allo spirito beethoveniano. Il carattere della melodia sulla quale è vocalizzata la parola “pacem” e qualche atteggiamento strumentale richiamano anzi il Canto di ringraziamento e la Scena presso il ruscello della Sesta Sinfonia, composta circa quindici anni prima. La melodia è anche affine a quella del Benedictus ed ha riscontro nel passo delle battute 3-5 del Cantabile una corda nella fuga finale della Sonata per pianoforte op. 106.
L’episodio si sviluppa a lungo, ma alla sua trionfante conclusione l’improvviso avvento della tonalità di si bemolle, con il ritmo battuto dai timpani, annuncia ad un tratto un mondo tutto diverso. Una figura agitata percorre gli archi, una fanfara di trombe, lontana, si aggiunge ai timpani. In un recitativo la voce del contralto su un tremolo d’archi invoca timidamente (come è indicato nella partitura): “Agnus Dei, qui tollis peccata mundi…” L’appello conturbante si ripete. Con agitazione crescente, come per difendersi dall’incalzare di un pericolo, il tenore, seguito dal coro, continua: “Agnus Dei… miserere, miserere nobis!” L’angoscia si stringe nel grido del soprano che, appena la fanfara squilla una terza volta in fortissimo, invoca: “Agnus Dei, dona …”; e “Dona” ripetono il contralto e il tenore innestandosi ad esso. Il tremolio degli archi decresce d’intensità; e in tonalità diversa torna, questa volta nei solisti, la preghiera pacifica. Ma in una nuova interruzione il tema stesso riappare come deformato nell’orchestra e intrecciato, si direbbe in lotta, con un altro tema nudo e tagliente, dando luogo ad un agitato episodio strumentale, culminante nell’entrata delle trombe, dei tromboni e dei timpani con un ritmo energico, appoggiato anche dai legni e dagli archi. Irrompe il grido della moltitudine: “Agnus Dei!” Trombe, tromboni e timpani tornano ad insistere, questa volta soli, in una forma più semplice e perentoria; il coro, sostenuto da tutta l’orchestra, riprende ad invocare: “Dona pacem!” Al disopra s’innalza la voce del soprano che, tesa infine nella nota più alta dell’armonia dissonante, accentua il senso angoscioso. Poi la dissonanza si compone, il clamore si spegne, il tema pastorale ridiscende nella chiara tonalità di re maggiore sviluppandosi nei due ordini vocali in forme più brevi ed insieme anelanti. Il timpano torna ancora ad accennare per due volte, lontano, il suo ritmo cupo. Risponde, concludendo, l’ultima frase del canto, seguita dall’epilogo strumentale affermativo del pacifico, definitivo superamento.
[Da Biamonti Giovanni – Catalogo cronologico e tematico delle opere di Beethoven comprese quelle inedite e gli abbozzi non utilizzati, Torino, ILTE 1968]
Titolo ufficiale: Opus 123 Missa solemnis (D-dur) für Soli, Chor und Orchester Widmung: Erzherzog Rudolph von Österreich NGA VIII/3 AGA 203 = Serie 19/1
Creazione e pubblicazione: Beethoven compose la messa dall’aprile 1819 al gennaio 1823 a Vienna. Interruppe più volte il lavoro, ad esempio per comporre le tre sonate per pianoforte op.109-111 o a causa di gravi malattie. Il 19 marzo 1823 l’arciduca Rodolfo ricevette una bella copia da copista della Messa con dedica e tra il 1823 e il 1825 ne furono fatte dieci copie a stampa in abbonamento che furono vendute a varie corti europee, personalità aristocratiche e istituzioni. Nel gennaio 1825 Beethoven fornì il modello per l’ incisione per l’editore Schott a Magonza, e l’edizione originale in partitura completa, parti e riduzione per pianoforte fu pubblicata nel marzo/aprile 1827. Il 20 gennaio 1819 morì il principe arcivescovo di Olomouc, Maria Thaddäus von Trautmannsdorff, il cui coadiutore con diritto di successione era, dal 24 giugno 1805, l’arciduca Rodolfo. Nella lettera di felicitazioni per la „neue[n] Würde“ del 3 marzo 1819, Beethoven annunciò per la prima volta il desiderio di comporre una messa per l’ occasione: „der Tag, wo ein Hochamt Von mir zu den Feyer-lichkeiten für I.K.H. soll aufgeführt werden, wird für mich der schönste meines Lebens seyn, u. Gott wird mich erleuchten, daß meine schwachen Kräfte zur Verherrlichung dieses Feyerlichen Tages beytragen“ (BGA 1292). L’iniziativa di Beethoven era certamente basata sulla speranza di diventare direttore d’orchestra alla corte di Rodolfo a Olmütz. Il 24 marzo 1819 Rodolfo fu eletto nuovo arcivescovo capitolare della cattedrale di Olomouc.
Le prime idee scritte di Beethoven per la messa compaiono in un libretto di conversazione del 2 aprile: „preludiren des Kyrie vom Organisten stark u. abnehmend bis vor dem Kyrie piano“ (BKh 1 p. 42). Per quanto riguarda la datazione più precisa delle deiverse fasi di abbozzi e sviluppo delle singole parti, esistono diversi studi ed le opere fondamentali (in ordine cronologico di apparizione: Lester/Kyrie, Winter/Opl23, JTW, Drabkin/Opl23 , Drabkin/Opl23 Sketches, Lodes/Gloria, Gertsch/ NGA VIII/3, Kinderman/Artarial95, Drabkin/Artarial97, Kinderman/Chronology). I risultati degli studi non sempre si sommano in un quadro d’insieme uniforme: i primi schizzi per il Kyrie risalgono all’aprile 1819, ed evidentemente Beethoven iniziò a scrivere la partitura autografa poco dopo, in aprile/maggio. La partitura fu terminata entro febbraio/marzo 1820. I primi schizzi per il Gloria risalgono al giugno 1819 circa. La partitura autografa di questa parte non fu iniziata prima del novembre/dicembre 1819 e fu probabilmente completata nell’estate del 1820 e rivista nell’autunno dello stesso anno. La prima fase degli abbozzi del Credo iniziò intorno al novembre/dicembre 1819 e durò fino al giugno 1820. A marzo erano già stati realizzati gli schizzi per il primo movimento della Sonata per pianoforte op.109, su cui Beethoven lavorò intensamente da giugno a ottobre circa. Beethoven potrebbe aver iniziato a scrivere la partitura del Credo già nell’estate del 1820 elaborando grandi porzioni del brano che sottopose a una revisione completa nel 1821. Nell’autunno del 1820 Beethoven stava lavorando al (Sanctus) Benedictus. Schizzi e la partitura autografa del Benedictus furono scritti nell’ottobre/novembre di quell’anno (la stesura del Sanctus potrebbe essere iniziata all’inizio del 1821). I primi schizzi per l’Agnus Dei risalgono all’ottobre 1820. Una fase principale di schizzi per questa parte fu scritta tra marzo e agosto 1821. Beethoven fu a malapena in grado di lavorare per gran parte del 1821, a causa di varie malattie, incluso un grave ittero e solo a settembre fu ragionevolmente ristabilito. Le prime ad essere scritte furono le sonate per pianoforte op.110 e 111. La seconda fase del lavoro sull’Agnus Dei, in cui Beethoven si occupò principalmente del Dona nobis, seguì tra marzo e agosto 1822. La partitura dell’Agnus Dei fu completata a fine 1822. La partitura completa del Credo, del Sanctus-Benedictus e dell’Agnus Dei fu disponibile alla fine del 1822, ma non oltre il gennaio 1823. A metà del 1823 (e in misura minore anche nei primi mesi del 1824) Beethoven aggiunse parti di trombone.
L’ elevazione dell’arciduca Rodolfo ebbe luogo il 9 marzo 1820 a Olomouc. Nell’ottobre 1819 Beethoven gli aveva assicurato che la messa sarebbe stata “presto completata” (BGA 1341), sebbene avesse già accennato a delle difficoltà in agosto (BGA 1327). Poiché in quel momento era disponibile solo il Kyrie, fu utilizzata per la cerimonia la Messa in si bemolle maggiore op.77 di Johann Nepomuk Hummel. Anche dopo le celebrazioni Beethoven continuò a rimandare il completamento della messa. Il 19 marzo 1823 l’arciduca ricevette personalmente la copia della partitura a lui dedicata. La prima menzione di un abbonamento a copie della Messa si trova in una lettera di Johann van Beethoven all’editore parigino Antonio Pacini del 27 dicembre 1822 (BGA 1518). Tra il gennaio 1823 e il febbraio 1824 Beethoven offrì la messa a 28 corti principesche, personalità e istituzioni. Dieci sottoscrissero una copia che ricevettero tra il luglio 1823 circa e la metà del 1825: il Granduca Ludovico I d’Assia-Darmstadt, Re Federico Guglielmo III. di Prussia, lo zar Alessandro I di Russia, il principe Nikolaus Galitzin, il re Federico Augusto I di Sassonia, il Cäcilienverein zu Frankfurt, re Ludwig XVIII. di Francia, il Granduca Ferdinando III. di Toscana, Re Federico VI. di Danimarca e il principe Anton Heinrich von Radziwill. Nella primavera del 1820 Beethoven aveva già avviato trattative con l’editore. Così il 10 febbraio di quell’anno offrì la messa all’editore di Bonn Nikolaus Simrock per 125 Louis d’ or e sottolineò che „nun bald aufgeführt wird“ (BGA 1365).
Nel corso di un’ offerta a Diabelli, Beethoven pensò anche di aggiungere alla Missa Solemnis un graduale, un offertorio e un tantum ergo (BKh 3 p. 127s). L’idea potrebbe essergli venuta in relazione al progetto di una messa per l’imperatore (vedi BGA 1578), che alla fine non realizzò. Già nel 1821 il quaderno di abbozzi “Artaria 197” contiene schizzi che potrebbero riferirsi al prgetto: a pagina 4 esiste un modello armonico per un tantum ergo (vedi Cooper/Tantumergo), a pagina 27 Beethoven annota sopra il pentagramma “offertorium” e abbozzi „für einen chor“. Nel marzo 1823 Beethoven si fece procurare da Moriz von Dietrichstein graduali e offertori che potessero essere usati come Proprium Studium (detti appunti sono conservati oggidì in D-B, Mus. ms. autogr. Beethoven 38,22). All’inizio di luglio informò il suo copista Schlemmer, intento a copiare la Missa: „Es kommen noch 3 neue Stücke“ (BKh 3 p. 351). In settembre fece spiegare al nipote Karl il processo della benedizione sacramentale e il testo latino del tantum ergo (BKh 4 p. 119, 169s). Come tanti altri progetti della vita compositiva di Beethoven, anche questo non vide la luce.
Gli abbozzi saranno trattati in un articolo appositamente creato per il Centro Ricerche Musicali www.lvbeethoven.it
Missa Solemnis
PDF dalla Gesamt-Ausgabe
Opus 123 Missa solemnis, per soli, coro, orchestra e organo
Articolo sull’ asta tenutasi il 15 Gennaio 2014 ore 19, ad AMHERST nel NEW HAMPSHIRE. Fonte: 1-100.it
Gli esempi musicali in MIDI di questa pagina sono curati da Pierre-Jean Chenevez. Chi volesse consultare o richiedere questi file, può contattare l’ autore tramite il nostro modulo di contatto.