Opus 110 Sonata in la bemolle maggiore per pianoforte
I) Etwas lebhaft, und mit der innigsten Empfindung – II) Lebhaft. Marschmäßig – III) Langsam und sehnsuchtsvoll – IV) Geschwinde, doch nicht zu sehr und mit Entschlossenhel
OPUS 110 – Sonata in la bemolle maggiore per pianoforte, op. 110, 1820 – primavera 1822, pubblicata a Parigi e Berlino, Schlesinger; Vienna, Steiner e Artaria, Mechetti, Cappi e Diabelli; Londra, Boosy, Chappel e Clementi, luglio 1822. GA. n. 154 (serie 16/31) – B. 110 – KH. 110 – L. IV, p. 70 – N. 110 – T. 228
Il manoscritto originale si trova nella Deutsche Staatsbibliothek di Berlino. Vari abbozzi sono comunicati dal Nottebohm fra quelli della “Missa solemnis”. Il primo tempo partecipa di quello spirito di dolcezza e di amabilità che dà la sua particolare fisionomia a tre quarti della materia musicale delle due Sonate in la maggiore op. 101 e in mi maggiore op. 109.
Il tema iniziale consta di due parti distinte: la prima è fondamentale perché, oltre a costituire il nucleo dello sviluppo, contiene già in sé la base della fuga finale: riconnettendosi anche, attraverso questo suo secondo aspetto, ad un tipo di disegno melodico per intervalli di quarta ascendenti che Beethoven ha più d’una volta impiegato in varie sue opere. La seconda, di derivazione haydniana, come da tempo ha notato il D’Indy, e introdotta già da Beethoven in altre opere (Minuetto della Sonata op. 30 n. 3 per pianoforte e violino, Fantasia per pianoforte op. 77), si libra melodiosamente in un’atmosfera di limpide sonorità, le cui vibrazioni continuano poi, con aumentato senso di leggerezza, negli arpeggi che si diffondono per tutta l’estensione della tastiera. Il secondo tema è di una condotta più dinamicamente varia, pure insistendo nella stessa espressione.
Lo sviluppo, come si è detto, ha per base la prima parte del tema iniziale la cui proposizione, ripetuta in tonalità discendenti sopra un continuo movimento del basso, assume un carattere di inquietezza. Anche la ripresa, in virtù di qualche amplificazione e modificazione, è di una fisionomia più agitata dell’esposizione, ma si risolve alla fine come in una rassegnata acquiescenza. Fra la gentilezza del primo tempo e la drammaticità del terzo, L’Allegro molto mediano adempie all’ufficio di intermezzo senza appigli espressivi con nessuno dei due suddetti e d’altra parte senza potersi neppure considerare come un elemento necessario di contrasto. È comunque una pagina schiettamente beethoveniana. Le prime due parti sono d’una grossa giovialità (vi affiora anche il frammento di una «canzone delle strade slesiane» come la chiama il Rolland: “Ich bin liederlich” (Io sono disordinato).
Il Trio all’opposto è di una aerea leggerezza nel suo vivace disegno discendente, legato, appena punteggiato dalle note in contrattempo della parte inferiore: nel complesso un passaggio di finezza, in seno al passaggio principale costituito dalle prime due parti.
Queste si ripetono terminando poi in una serie di accordi ribattuti, stranamente (vorremmo dire provvisoriamente) nonostante la determinazione delle armonie finali, in fa maggiore. Il terzo ed ultimo tempo, come nella precedente Sonata op. 109, è il più sviluppato; mentre però ivi si riconnetteva idealmente allo stato d’animo del primo, qui ne appare come significato disgiunto, costituendo di per sé solo un poema di dolore e di superamento. La forma risulta, pur nelle sue varie articolazioni, chiara e definita. Si tratta di un Adagio e Finale di sonata sviluppati secondo il criterio di una compiuta vicenda drammatica.
L’Adagio è preceduto da una introduzione con un Recitativo che, per estensione ed espressione, sta fra quelli della Sonata per pianoforte in re minore op. 31 n. 2 e della Nona Sinfonia. Poi, introdotto dal murmure di un movimento di terzine (progressivamente integrato nel suo colore oscuro dall’entrata graduale per intervalli discendenti delle note dell’accordo minore) e da esso accompagnato, nasce l’Arioso dolente, in cui l’espressione appassionata, parlante del recitativo, si scioglie, liricizzandosi, in una melodia spezzata ed anelante analoga per questa sua forma ad altre di Beethoven in composizioni del suo ultimo periodo creativo (per es. nella Cavatina del Quartetto in si bemolle maggiore op. 130, nell’Adagio del Quartetto op. 135). Si può vedere nel tema la reminiscenza, cosciente o no, di un tipico atteggiamento bachiano o il presentimento di qualche modo lirico belliniano: incontri che avvicinano, nell’essenzialità di un commosso linguaggio musicale umano, stili e forme di paesi ed epoche diversi. La melodia termina con un senso di chiuso sconforto.
A contrasto la fuga in maggiore, che sorge dalla sua stessa nota finale con un tema ascendente per quarte, s’afferma come una ripresa di vita operante: in principio dolcemente, poi sempre più decisa ed energica; fino a che, in pieno sviluppo polifonico, improvvisamente non s’arresta sulle note d’un accordo sospeso, che modulando in altro tono, minore, introduce nuovamente l’arioso: più triste, ora, sconsolato, spezzato. Lo spostamento dell’accentazione ritmica finale viene però a togliere alla sua conclusione il carattere squallidamente statico della prima volta, imprimendole invece un che di sussultante (nel quale continua a suo modo l’anelito dell’ultima articolazione melodica), volgendola nel tempo stesso, con il repentino trapasso nel modo maggiore e la ripercussione degli accordi in sonorità sempre più larga e vibrante, ad altro significato.
È sotto l’impressione di questa consolante schiarita che viene ripreso il movimento della fuga in maggiore: in principio stentato con il suo tema capovolto, poi, nella originaria forma ascendente, sempre più sicuro: elevandosi, ingrandendosi, diffondendosi nella riconquistata tonalità fondamentale di la bemolle senza incontrare più ostacoli, e concludendosi, lasciata la stretta forma polifonica, in un inno trionfante. Lo Schering si riferisce per questa sonata alla Maria Stuart di Schiller. Primo tempo. Atto III, scena I: seconda strofa del monologo lirico di Maria Stuart: Popoli che vi affrettate — Secondo tempo-, id. id.: quarta strofa: monologo lirico di Maria: Sentite il corno da caccia — Terzo tempo a) Adagio: Atto V, scena VII: fine della confessione di Maria Stuart: il Signore mi giudica degna, b) Arioso dolente e Fuga: la comunione: Melvil dà a Maria l’ostia e la assicura della salvezza eterna.
[Da Biamonti Giovanni – Catalogo cronologico e tematico delle opere di Beethoven comprese quelle inedite e gli abbozzi non utilizzati, Torino, ILTE 1968]
Titolo ufficiale: Opus 110 Sonate (As-dur) für Klavier Widmung: — NGA VII/4 AGA 154 = Serie 16/31
Creazione e pubblicazione: La sonata fa abbozzata da settembre a dicembre 1821 a Vienna. Beethoven datò la trascrizione in bella copia dell’ opera il 25 dicembre, presumibilmente lo stesso giorno in cui la copia fu completata. L’11 gennaio 1822 la consegnò al copista di Vienna per essere poi inoltrata all’editore Schlesinger a Berlino. L’edizione originale fu pubblicata da Schlesinger dal luglio 1822 in tre edizioni parallele per Parigi, Vienna e Berlino. L’edizione originale londinese seguì nel luglio 1823, pubblicata presso Clementi & Co. (illustrazioni) La sonata per pianoforte op.110 appartiene a un gruppo di tre sonate (op. 109-111) che Beethoven aveva promesso all’editore Adolph Martin Schlesinger a Berlino nell’aprile 1820 (BGA 1388, vedere op. 109, composizione e pubblicazione). Benché avesse promesso il 20 settembre 1820 „die erste [Op. 109] ist fast bis zur Correctur ganz fertig, und an den beyden lezten arbeite ich jezt ohne Aufschub“ (BGA 1410), fu la Missa Soleminis ad esser al centro delle sue attività compositive in autunno. D’ altro canto Beethoven riuscì a malapena a comporre nel 1821 a causa di varie malattie, tra cui un grave ittero. Solo a settembre la sua salute migliorò (Kinderman/Artaria l95 Vol. 1 pp. 55-57). Nel corso dell’anno promise più volte di consegnare presto le sonate (BGA 1428 del 7 marzo 1821: „Die ändern beyden Sonaten folgen nun bald“; BGA 1431 del 7 giugno 1821: „die ändern beyden Sonat. erhalten Sie bald“, ma vi lavorò intensamente solo a partire dall’autunno del 1821 (William Kinderman data alcuni schizzi per il primo movimento contenuti nel quaderno di abbozzi “Artaria 197″bal giugno/luglio 1820). Il 13 ottobre 1821 Schlesinger chiese informazioni sulle ulteriori sonate (BGA 1442). Beethoven gli promise il 13 novembre: „was die ändern 2 Sonaten anbetrift, so werden selbe bald folgen, u. zwar korrekt abgeschrieben, mit dem Manuscript mitschicken, dies ist zu gefährlich, denn wenn ein widriger Zufall Manuscript u. Abschrift träfe, so wäre das ganze werk verlohren, das vorigemal geschah es, indem ich meiner kränklichen Umstände wegen mein Concept weitlaüfiger aufgeschrieben als gewöhnlich, jezt aber wo wie es scheint meine Gesundheit beßer ist, zeige ich wie sonst auch nur gewiße Ideen an u. bin ich mit dem ganzen fertig im Kopfe, so wird alles aber nur einmal aufgeschrieben —“ (BGA 1446).
Il 12 dicembre 1821 Beethoven annunciò che l’op. 110 era praticamente terminata: „eine Sonate werden sie wohl jezt sehr bald erhalten“ (BGA 1450). Dopo una revisione completa del 3° movimento, la trascrizione completa dell’opera fu completata alla fine dell’anno 1821 inizio 1822. L’11 gennaio 1822 Beethoven diede il modello per l’ incisione copiato da Wenzel Rampl a Tendier & Manstein di Vienna dietro compenso per il trasporto a Berlino. Il 1 maggio 1822 Beethoven diede una risposta evasiva alla domanda circa una dedica e annunciò che presto avrebbe inviato informazioni sul dedicatario (BGA 1462). Ciò non avvenne. L’affermazione fatta da Adolf Bernhard Marx già nel 1824 secondo cui il secondo movimento della sonata „die Melodie eines wüsten allgemein bekannten Volkliedes einwebt“ – e cioè „ich bin lüderlich, du bist lüderlich“ (Marx/Beethoven 1859 p. 362) — è stata messa in discussione da William Drabkin sulla base dei risultati degli studi sugli abbozzi. Le tre edizioni parallele di Schlesinger: La Sonata op.110 fu pubblicata da Schlesinger in tre edizioni parallele, destinate a Parigi, Vienna e Berlino. Apparvero in rapida successione. La prima per Parigi, la seconda probabilmente per Vienna (come suggerisce il timbro di Maurice Schlesinger sul titolo). Quindi le tavole furono portate a Berlino, dove Adolph Martin Schlesinger usò la sua pubblicazione con targa 1159 e cambiò l’impaginazione. Maurice Schlesinger riferì a Beethoven il 3 luglio 1822 che la sonata incisa a Parigi sarebbe stata presto consegnata: „Wie Sie bereits erfahren habe ich mich jetzt hier etablirt, und werde zur besseren Verbreitung, und damit Ihre Werke auch dem Inneren werth äußerlich ausgestattet werden, dieselben hier stechen lassen. Bereits ist die 2.t Sonate vollendet, und wird nächstens dem Publico überliefert werden“ (BGA 1476).
Riguardo alla dedica omessa: In una lettera del 1 maggio 1822, Beethoven scrisse a Schlesinger a Berlino: „Was die 2te Sonate in As betrift, so habe ich die Zueignung an jemanden bestimmt, welche ich ihnen beym nächsten zusenden werde“ (BGA 1462). Il 2 luglio l’editore gli ricordò: „Zeigen Sie mir daher gefälligst bald an, wem Sie die 21 Sonate zueignen wollen“ (BGA 1474). Ciò non accadde, perché l’edizione di Schlesinger apparve nell’estate del 1822 senza dedica. Il rimprovero di Beethoven nella lettera del 31 agosto 1822 a Maurice Schlesinger di aver scritto sia al padre che a lui che „daß die Sonate in As jemand, von meinen Verbindungen sollte zugeeignet werden“, ma che questo non era avvenuto (BGA 1491 ). Una bozza di lettera a Ferdinand Ries del febbraio 1823 mostra che Beethoven aveva pensato ad Antonie Brentano come dedicataria, almeno per un’edizione inglese (BGA 1592). Tuttavia, anche l’edizione di Clementi (luglio 1823) apparve senza dedica. Prima esibizione sconosciuta, ma Carl Czerny suonò la sonata privatamente all’inizio di febbraio 1824 (BKh 5 p. 133).
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