Opus 18 Quartetti (6) in fa maggiore, sol maggiore, re maggiore, do minore, la maggiore, si bemolle maggiore, per due violini, viola e violoncello
Opus 18 – Quartetti (6) in fa maggiore, sol maggiore, re maggiore, do minore, la maggiore, si bemolle maggiore, per due violini, viola e violoncello op. 18, dedicati al principe Lobkowitz, 1798-1800, pubblicati in parti staccate a Vienna, Mollo, in due gruppi, giugno e ottobre 1801; in partitura a Offenbach s. m., André, autunno 1829. GA. n. 37-42 (serie 6/1-6) – B. 18 – KH. 18 – L. I, p. 169 – N. 18 – P. 115 – T. 75
In questo suo primo grande saggio del genere — non tenendo conto dei quartetti spuri a cui si accenna in altra parte del presente catalogo — Beethoven, sull’esempio di vari musicisti di scuola viennese dell’epoca (Franzl, Kozeluch, Pleyel, Forster, Haydn, Mozart), ha raggruppato in una unica «opera» ben sei composizioni. La pubblicazione avvenne in due serie: la prima, con i Quartetti in fa maggiore, sol maggiore, re maggiore, nel giugno 1801; la seconda, con i Quartetti in do minore, la maggiore e si bemolle maggiore, nell’ottobre. Il manoscritto originale è perduto. Abbozzi vari sono citati dal Nottebohm con diverse attribuzioni di date: 1794-1795 (Andante del Quartetto in la maggiore), 1798-1799 (Quartetti in re maggiore e in fa maggiore), 1799 (Quartetti in fa maggiore, sol maggiore e la maggiore), 1799-1800 (finali dei Quartetti in si bemolle maggiore e fa maggiore), 1800 (primo tempo del Quartetto in fa maggiore, finale del Quartetto in sol maggiore). L’ordine cronologico, diverso da quello della pubblicazione, è con ogni probabilità il seguente: I. Quartetto in re maggiore – II. Quartetto in sol maggiore – III. Quartetto in fa maggiore (redazione definitiva) – IV. Quartetto in la maggiore – V. Quartetto in si bemolle maggiore – VI. Quartetto in do minore (redazione definitiva, con vari precedenti, sembra, di data alquanto anteriore).
Si è accennato ad una prima redazione del Quartetto in fa maggiore. II manoscritto originale, con dedica ad Amenda, si trova nell’archivio della Beethovenhaus e porta la data del 25 giugno 1799; ma in una lettera allo stesso del 1° luglio 1801 il maestro scrive: «Mi raccomando di non passare ad altri il tuo Quartetto, al quale ho apportato alcune modifiche sostanziali. Soltanto ora ho imparato come si scrivono i quartetti; te ne accorgerai, credo, quando li riceverai ».
Questa prima redazione è stata pubblicata, nel 1922, da Hans Wedig con un ampio studio introduttivo dedicato genericamente al quartetto viennese dell’ultimo ventennio del secolo decimottavo, poi in modo particolare ad Emanuel Forster, alla redazione definitiva (op. 18 n. 1) del quartetto in oggetto ed al suo confronto con la prima redazione.
Delle relative differenze diamo poco appresso nel catalogo Hess un cenno molto sommario; qui vogliamo notare (perché riguarda anche gli altri quartetti dell’op. 18) come, parlando degli immediati precursori di Beethoven, il Wedig attribuisca molta importanza ad Emanuel Förster considerandolo come «il più importante artista» per lo sviluppo del quartetto viennese, accanto a Mozart e ad Haydn.
Sembra infatti che il Förster (1748-1823), legato a Beethoven da profonda amicizia e, per diversi anni, da rapporti quasi familiari, frequentatore assiduo delle matinées musicali del venerdì in casa Lichnowsky, abbia esercitato sulla formazione del giovane maestro una influenza particolare. Non è privo di significato il fatto che certi critici del tempo si siano espressi nei riguardi dei quartetti di Förster con apprezzamenti che ben sarebbero convenuti a musica di Beethoven.
(N.d.A.:Pierre-Jean Chenevez ha digitalizzato mettendo in formato midi tutti e 16 i quartetti, ed anche la Grosse Fuge Opus 133 un lavoro immenso!)
[Da Biamonti Giovanni – Catalogo cronologico e tematico delle opere di Beethoven comprese quelle inedite e gli abbozzi non utilizzati, Torino, ILTE 1968]
Titolo ufficiale: Opus 18 Sechs Quartette (F-dur, G-dur, D-dur, c-moll, A-dur, B-dur) für zwei Violinen, Viola und Violoncello Widmung: Franz Joseph Maximilian Fürst Lobkowitz NGA VI/3 AGA 37-42 = Serie 6/1-6 SBG VI/12 (Quelle II. 1, Hess 32) Beiname: Nr. 2 Komplimentierquartett
Composizione e pubblicazione: Composti tra l’estate/autunno 1798 e l’estate/autunno 1800. I quartetti furono scritti – con diverse interruzioni – in quest’ ordine n° 3, 1,2, 5, 4, 6. Nell’estate/autunno 1800 lavorò alle versioni originali dal n. 1 e 2 e probabilmente anche al n. 3. L’edizione originale in parti fu pubblicata da Mollo a Vienna – in due consegne – intorno a giugno (nn. 1-3) e ottobre (nn. 4-6) del 1801. La copia autografa di Beethoven del quartetto in mi bemolle maggiore Hob. 111:31 di Joseph Haydn dimostra che il cmpositore fosse già impegnato a comporre quartetti per archi nel 1794 (Johnson/Fischhof vol. 1 p. 98-102). Presumibilmente nel corso del 1798, similmente ad Haydn, ricevette una commissione da parte del principe Lobkowitz, cui si dedicò nello stesso anno.
Parimenti studiò quartetti di Mozart (KV 387 e 464), che ricopiò in partitura (vedere “copie di Beethoven di opere di altri compositori”. (un riassunto dei preparativi di Beethoven per comporre quartetti può essere trovato in Gutierrez-Denhoff/ String Quartet ). I quartetti n. 3 (dall’estate/autunno 1798 al gennaio 1799), n. 1 (da febbraio a metà aprile 1799) e n. 2 (da aprile all’ inizio di giugno 1799) furono riveduti nuovamente a maggio/giugno dello stesso anno prima che Beethoven ne iniziasse la copia definitiva. Il 25 giugno 1799 Carl Amenda ricevette una copia delle parti del quartetto n. 1 con una dedica autografa di Beethoven: „lieber Amenda! nimm dieses Quartett als ein kleines Denckmal unserer Freundschaft, so oft du dir es vorspielst, erinnere dich unserer durchlebten Tage und zugleich, wie innig gut dir war und immer seyn wird dein wahrer und warmer Freund Ludwig van Beethowen“. Un ordine di pagamento datato 7 ottobre 1799 e una ricevuta di Beethoven per la ricezione di 200 fiorini per „drei an Sr Durchlaucht Herrn Fürsten v Lobkowitz gelieferte Quartetten“ datata 14 ottobre provano che anche il committente ricevette le prime tre opere nel 1799. Nel giugno 1799, dopo aver completato i primi tre quartetti, Beethoven iniziò a comporre il secondo gruppo di tre, iniziando dal n. 5. L’origine del n. 4 è in gran parte oscura, poiché gli schizzi non sono stati conservati.
Alcuni abbozzi concettuali dell’estate del 1799 suggeriscono che il quartetto – contrariamente alle ipotesi di Riemann e Kerman – sia stato composto anch’ esso in quell’anno e che Beethoven non abbia fatto ricorso a una composizione più antica. Dopo che il quartetto n.6 fu completato nell’estate/autunno del 1800, Beethoven iniziò a rielaborare i primi due quartetti. Anche se per il n. 3 non si trovano schizzi del 1800, si può presumere che abbia rivisto anche questa composizione. Scrisse a Carl Amenda: „dein Quartett [Nr. 1 in der Fassung von 1799] gieb ja nicht weiter, weil ich es sehr umgeändert habe, indem ich erst jezt recht quartetten zu schreiben weiß, was du schon sehen wirst, wenn du sie erhalten wirst“ (BGA 67 del 1 luglio, 1801). Nell’ottobre 1800 il principe Lobkowitz ricevette quindi non solo una copia delle tre opere aggiuntive, ma di tutte e sei le composizioni. Beethoven cercò di far pubblicare i sei quartetti ben presto. Il 6 settembre 1800 Nikolaus Zmeskall scrisse a Franz Brunsvik: „Seine 6 Quartetten, die er [Beethoven] nun bald dem Verleger übergiebt, werden Ihnen viel Vergnügen machen“ (LaMara/Brunsvik p. 11). Probabilmente era già stato trovato un editore. Ciò è confermato da una lettera di dicembre di Beethoven a Franz Anton Hoffmeister: „pro primo ist zu wissen, daß es mir sehr leid ist, sie mein geliebter Hr. Bruder in der Tonkunst mir nicht eher etwas zu wissen gemacht haben, damit ich ihnen meine Quartetten hätte zu Markt bringen können, so wie auch viele andere Sachen, die ich nun schon verhandelt“ (BGA 49 del 15 dicembre 1800). Il 22 aprile 1801 svela a Breitkopf & Härtel il nome dell’editore: “bev Mollo hier kommen wenn mir recht ist, bis 8 Werke heraus“ (BGA 59), e lo stesso giorno riferisce a Hoffmeister che „die quartetten […] in einigen Wochen schon herauskomen“ (BGA 60). Si tratta però solo delle prime tre composizioni, poi pubblicate da Mollo in giugno. Il principe Lobkowitz potrebbe aver ricevuto un diritto esclusivo di sei mesi per il secondo gruppo di tre, così che Beethoven poteva consegnarli a un editore solo in estate.
Manca l’indicazione della prima consegna (nn. 1-3) dell’edizione originale. Il 13 maggio 1801, Caspar Josef Eberl, l’amministratore delegato viennese di Hoffmeister & Comp., riferiva a Hoffmeister & Kühnei a Lipsia: „die Beethoven quartetten bey Mollo sind noch nicht hier heraus. H. Bethoven sagt mir er habe selber noch keines erhalten“ (BGA 60 nota 12). Secondo Thayer (Thayer/1865 p. 37) „im July 1801 […] die ersten drei dieser Quartette schon bei Nägeli in Zürich zu haben“. Infine ecco un reportage viennese della Leipziger Allgemeine Musikalische Zeitung sulle novità dell’estate: „Unter den neuen hier erscheinenden Werken zeichnen sich vortreffliche Arbeiten von Beethoven aus (bei Mollo). Drei Quartetten geben einen vollgültigen Beweis für seine Kunst; doch müssen sie öfters und sehr gut gespielt werden, da sie sehr schwer auszuführen und keineswegs populair sind.“ (3, 1800/01, 26 agosto 1801, colonna 800). Sul soprannome: „Die eleganten verbindlichen Wendungen haben dem Quartett unter den Muckern den Namen des „Komplimentierquartetts“ gegeben; wir möchten aber doch raten, sich nicht durch solche Deutungen, die sich anderswo wieder nicht als stichhaltig erweisen, den musikalischen Genuß trüben zu lassen.“ (TDR II p. 194.)
Dedica: Franz Joseph Maximilian Prince Lobkowitz, nato il 7 dicembre 1772 a Raudnitz Roudnice nad Labem), morto il 15 dicembre 1816 a Wittingau (Trebon) in Boemia, figlio di Ferdinand Philipp Joseph (1724—1784) e della moglie Maria Gabriela, nata duchessa di Savoia-Carignano (1748-1828), principe regnante dall’11 gennaio 1784, sposata con Maria Karoline zu Schwarzenberg (1775-1816) dal 2 agosto 1792, sorella di Joseph zu Schwarzenberg (cfr. 16). In qualità di appassionato amante della musica e amante del teatro, Lobkowitz sostenne quale mecenate numerosi musicisti e artisti. Mantenne una sua orchestra (diretta da Anton Wranitzky, Anton Cartellieri e Jan Josef Rössler) e trasformò la sala più grande del suo palazzo di Vienna in una sala da concerto, che ospitava regolarmente concerti, opere e spettacoli teatrali. Lobkowitz fu membro della „Gesellschaft der Associierten Cavaliers“ e del “Theater-Unternehmungs-Gesellschaft”, che aveva assunto la direzione dei due teatri di corte e del Theater an der Wien dal 1807 al 1810 (altri membri includevano Rürst Schwarzenberg, Franz Nikolaus Esterhazy , Ferdinand Palffy-Daun von Erdöd, Hieronymus Lodron e Stephan Graf Zichy) e fu membro fondatore della Gesellschaft der Musikfreunde. Nel 1811 acquisì il Wiener Hoftheater-Musik-Verlag in perdita e rilevò i due Wiener Hoftheater. Lobkowitz suonava violino e violoncello (Lodes/Op98) ed era un cantante abbastanza dotato con una voce allenata. Si esibì non solo ai concerti nel suo palazzo, ma anche pubblicamente come solista, ad esempio il 29 novembre e il 3 dicembre 812 nell’esecuzione di “Alexander’s Feast or the Power of Musick” di Handel, che fu eseguita come grande cantata con il titolo „Timotheus, oder Die Gewalt der Musick“ presso la neonata Società dei Musikfreunde a Vienna. Beethoven entrò ben presto in contatto con Lobkowitz. Il 2 marzo 1795 il conte Karl von Zinzendorf registrò nel suo diario che “un homme Bethofen Bonne” suonò in un concerto da Lobkowitz. Nello stesso anno il principe si abbonò a sei copie dei Trii per pianoforte op.1. Alla fine del febbraio 1809 firmò un contratto insieme al principe Kinsky e all’arciduca Rodolfo, che assicurava a Beethoven una pensione annua di 4000 fiorini. A causa delle sue numerose iniziative culturali, Lobkowitz divenne sempre più indebitato e fu insolvente nel 1813. La gestione della sua proprietà e dei suoi allevatori fu quindi posta sotto „freundschaftliche Administration“, che fu gestita da Joseph zu Schwarzenberg insieme ad un parente della linea Melnik, Anton Isidor Prince von Lobkowitz. Il fallimento di Lobkowitz portò anche alla cessazione dei pagamenti pensionistici di Beethoven, contro i quali il compositore avviò un’azione legale che vinse nel 1815. Numerose dediche testimoniano il legame di Beethoven con Lobkowitz: oltre ai quartetti op.18, la Terza sinfonia op.55 (1806), il triplo concerto op.56 (1807), la Quinta sinfonia Opus 67 e la Sesta sinfonia opus 68 detta “Pastorale” (1809 , assieme al conte Razumowsky), il quartetto d’archi op.74 (1810) e il ciclo di canzoni „An die ferne Geliebte“ op. 98 (1816). Al principe fu dedicata anche l’opera – raccolta “In questa tomba oscura”, pubblicata nel 1808, per la quale Beethoven contribuì (WoO 133).
Prime esecuzioni dei quartetti probabilmente già nel 1799 e nel 1800, a Vienna, nella cerchia di amici di Beethoven e con il principe Lobkowitz. Un’esibizione del 9 dicembre 1800 della contessa Josephine Deym è documentata in una lettera della cotessa alla sorella il giorno successivo: „Gestern hatten wir zu Ehren der Herzogin Musik. […] Dann ließ uns Beethoven, als ein wahrer Engel, seine neuen, noch nicht gestochenen Quartette [op. 18] hören, die das Höchste ihrer Art sind. Der berühmte Kraft übernahm das Cello, Schuppanzigh die erste Violine. Stellt euch vor, was das für ein Genuß war!“ (Adattato da LaMara/Brunsvik p. 14.)
Opus 18 Quartetto numero 1 in fa maggiore per due violini, viola e violoncello
I) Allegro con brio – II) Adagio affettuoso ed appassionato – III) Scherzo – Allegro – IV) Allegro
Il tema iniziale dell’Allegro con brio, che il Riezler ha definito «pregnante», non ha in sé una fisionomia particolare, ma regge e muove con essenzialità logica tutto il tempo che ad esso deve il suo carattere dinamico. Minore efficienza ha il secondo tema, per quanto di chiara individualità melodica. L’Adagio affettuoso ed appassionato è la pagina patetica più ampia di tutta l’op. 18. Secondo una tradizione che si fa risalire ad Amenda, Beethoven avrebbe pensato alla scena shakespeariana di Giulietta e Romeo presso la tomba; e si è già citato al riguardo un abbozzo intitolato Les derniers soupirs, rimasto poi inutilizzato, che potrebbe riferirsi a quest’intendimento. Nel terzo tempo, come di consueto, una piccola frase schematica si arricchisce gradatamente, sviluppandosi, d’interesse melodico, armonico e strumentale. Interessante il Trio, ove all’impostazione ritmica dell’entrata — le note ribattute in ottava fortissimo che suggeriscono il riferimento a certi passaggi del primo e dell’ultimo tempo dell’ Ottava Sinfonia — segue, in una fluida figurazione, lo scarto tonale del primo violino in piano, legato. Nel Finale (Allegro), di una vivace leggerezza, è tipica la distensione di una specie di cantilena derivata da un elemento terminale del secondo tema e analoga ad altra che Beethoven impiegherà ancora a non troppa distanza di tempo.
Opus 18 Quartetto numero 2 in sol maggiore per due violini, viola e violoncello
I) Allegro – II) Adagio cantabile – Allegro – Tempo I – III) Scherzo – Allegro – IV) Allegro molto quasi presto
Non vogliamo dimenticare il particolare di un breve contrappunto cantabile, che viene a rivestire il tema, nella sua ultima ripresa, ascendendo dal violoncello alla viola e ai violini. La prima redazione di questo Quartetto, alla quale si è accennato, restò per molto tempo ignorata. Nel 1874 incominciò a parlarne L. Nohl nella sua opera Beethoven, Liszt und Wagner. Nel 1904 i discendenti della famiglia Amenda permisero la pubblicazione di una parte dello sviluppo del primo tempo; in seguito il manoscritto, passato alla Beethovenhaus, fu posto in partitura e pubblicato integralmente a cura di Hans Wedig. Esso presenta numerose e molteplici differenze con la redazione definitiva, in cui varie battute sono state soppresse o sostituite e segni dinamici o d’interpretazione, armonie, elaborazioni polifoniche, disposizioni strumentali modificati. Il numero complessivo delle battute del primo tempo è di 329 invece delle attuali 313; il finale ne conta 376 invece di 381, e vi manca fra l’altro il contrappunto, a cui si è accennato, innestato al tema nella sua ultima ripetizione. Il titolo comunemente datogli di Quartetto dei complimenti risponde alla sua fisionomia, purché si eviti di cadere nel campo di un banale descrittivismo. Grazia ed atteggiamenti musicali non disgiunti da una certa cerimoniosa levigatezza, e dappertutto un tantino di umorismo: la rusticità gioviale di Haydn, l’eleganza salottiera di Mozart rivissute da uno spirito d’artista nuovo. Il carattere dell’Allegro si rivela in questo senso fin dal principio. Il passaggio alla ripresa che ascende gioiosamente nel ritmo e nell’armonia dal violoncello alle viole e ai violini è di un largo respiro campestre. La gravità dell’Adagio cantabile, con cui si apre il secondo tempo e che sembrerebbe annunciare un’ampia pagina meditativa, è smentita abbastanza presto ed in modo un po’ burlesco dall’Allegro in fa maggiore, che ne volge ad altro corso le ossequiose figure terminali. Un ritorno dell’Adagio riporta l’espressione grave, alla quale pare voglia alla fine sottomettersi pacatamente anche quella burlesca. Lo Scherzo giuoca sulla base di un temetto volteggiante alla maniera di quello della Seconda Sonata op. 2 per pianoforte. Nel Trio una figura di movimento s’intreccia intorno al gramo spunto tematico, riallacciandolo infine con naturalezza alla ripresa della prima parte. Interessante è il confronto con il corrispondente del Quartetto mozartiano K. 499. Nel Finale (Allegro molto quasi presto), che richiama lo spirito di Haydn, si potrebbe dire che il «complimento» è passato dalle sale nelle piazze, ed anche un tantino nei sobborghi e nelle campagne. L’espansione ritmica e armonica della fine della prima parte arricchisce l’energia delle cadenze con un susseguirsi e intrecciarsi impetuoso di sformati, come una danza villereccia nel massimo dell’animazione.
Opus 18 Quartetto numero 3 in re maggiore per due violini, viola e violoncello
I) Allegro – II) Andante con moto – III) Scherzo – Allegro – IV) Presto
Primo della serie nell’ordine cronologico, è considerato per certi aspetti (ad esempio per la parte preponderante che vi ha il primo violino) come il più ossequioso alla tradizione. L’Allegro è ricco di idee e l’entrata stessa del tema iniziale su una cadenza di dominante invece che alla tonica, esce dalla pratica più comune conformemente a quanto, in forma più ampia, era stato fatto già nella Prima Sinfonìa. La fisionomia quasi austera dell’Andante con moto si addolcisce episodicamente nell’ornamentazione melodica e nel giuoco elegante (v. gli staccati del secondo tema); ma il carattere ne resta fissato più nella sfera dell’elaborazione formale che in quella espressiva. Nell’Allegro costituente il terzo tempo si può notare la melodiosità lievemente melanconica delle prime due parti (affine al corrispondente della Sonata op. 10 n. 3 per pianoforte) e, nel Trio, il passaggio alla ripresa con la snodatura dell’accordo cadenzale sospeso in note staccate ascendenti nel primo violino e discendenti poi nei piccati della viola e del violoncello. Nel Presto finale ci sembra ricorrano figure ed atteggiamenti di saltarello o di tarantella; ma il Frimmel cita come modello mozartiano la Sonata con fuga per pianoforte e violino K. 402 e il D’Indy vi trova il carattere delle vecchie gighe di Bach. Si può notare anche il procedimento di dissoluzione e poi di improvvisa, nuova formazione del tema nella ripresa; ancor più, nella conclusione, la dispersione del ritmo e della frase stessa, già tanto pieni d’animazione.
Opus 18 Quartetto numero 4 in do minore per due violini, viola e violoncello
I) Allegro ma non tanto – II) Andante scherzoso, quasi allegretto – III) Menuetto – Allegretto – IV) Allegro
Occupa un posto a sé nella serie, oltre che per le incertezze riguardanti la data precisa della composizione, anche e più per la fisionomia musicale dell’elemento patetico che vi domina, come in altre opere beethoveniane nello stesso tono di do minore. A questa immediata comunicabilità emotiva l’opera dovette il suo grande successo, del quale poi Beethoven, come già per il Settimìno, sembra che non abbia mostrato una soddisfazione eccessiva. I due temi principali dell’Allegro sono compiuti, come forma e significato, fin dalla prima enunciazione: l’uno nel senso patetico di cui sopra; il secondo, in mi bemolle maggiore, a sua ideologica integrazione. Caratteristici anche alcuni passaggi di accordi ritmicamente ribattuti, ricorrenti più volte come tipiche figure di cadenze sospensive o di collegamento. La Coda può avvicinarsi a quelle, più impetuose, della Sonata per pianoforte e violino op. 31 n. 2 e della Quinta Sinfonia (primo tempo). L’Andante scherzoso quasi Allegretto, intitolato Scherzo, che sostituisce l’abituale secondo tempo lento (mentre al posto del terzo trovasi un Minuetto) è, come quello della Prima Sinfonia, un intreccio ritmico e melodico di linee contrappuntistiche leggere. Il Minuetto rientra, con una maggiore varietà di tinte, nell’atmosfera del do minore. Al contrario niente di patetico nel Trio in la bemolle, con il motivetto alternato fra secondo violino da una parte e viola e violoncello in ottava dall’altra sotto un tipico accompagnamento arpeggiato (ogni nota ribattuta a terzina) dal primo violino. La somiglianza del ritornello del Rondò (Allegro) finale con quello della Sonata patetica è evidente; ma oltre a questo e all’analogia anche di qualche altro elemento formativo, le due pagine sono vicine per una affinità generale di spirito, nonostante che la prima appaia più impetuosa e la seconda sia elaborata con maggior finezza. Per lo Schering questo Quartetto sarebbe stato ispirato dalla Medea di Euripide. La protagonista, in preda al suo sentimento di vendetta contro l’infedele Giasone, pensa di rapirne ed uccidere i figli, che sono poi anche i propri. Primo tempo. Disperazione e tormento interiore — Secondo tempo. I fanciulli, la loro innocenza; commozione di Medea, addio dei fanciulli — Terzo tempo. Ritorno dell’idea fissa; lotta contro i teneri sentimenti; delicate emozioni pensando ai fanciulli — Quarto tempo-. L’infuriare dei sentimenti di vendetta di Medea. Esitazione, decisione, frenesia. I fanciulli uccisi.
Opus 18 Quartetto numero 5 in la maggiore per due violini, viola e violoncello
I) Allegro – II) Menuetto – III) Andante cantabile – IV) Allegro
Nello slancio con cui s’annuncia, l’Allegro rivela già tutto il suo gioioso spirito. Possiamo notare sotto questo stesso punto di vista, la formazione e condotta tonale del secondo tema, che giunge al mi maggiore (tono regolare alla dominante, ove poi si espande) da tonalità più oscure (mi minore, sol maggiore), appunto come una luce che si faccia strada attraverso una zona d’ombra. Ben risponde la denominazione di Minuetto all’inizio del secondo tempo per la grazia che fiorisce dall’intreccio dei violini, passando poi a tutto il quartetto e continuandosi in aspetti di Ländler. Una ruvida impronta è tuttavia segnata nel mezzo del suo corso dal crescendo del ritmo ribattuto e fermato imperiosamente sul fortissimo dalla pausa di una battuta. Nel placido Trio, che mantiene il carattere di Ländler, lo Helm trova il tipo melodico delle Variazioni della Sonata per pianoforte op. 26 e del terzo tempo del Trio in mi bemolle maggiore op. 70 n. 2. Esso ricorda anche un tema haydniano su cui il D’Indy si è soffermato più volte parlando di altre opere di Beethoven. Il tema dell’Andante cantabile (un frammento della scala di re maggiore nell’ambito dell’intervallo di sesta, modulante alla dominante e poi, con breve passaggio, ripreso e concluso in tono) è svolto in cinque Variazioni che (esclusa la seconda affidata al primo violino, informata al vecchio tipo dell’esibizione solistica) sono fra le pagine più interessanti dell’intera op. 18. Basti pensare all’effetto di crescendo strumentale della prima con la graduale sovrapposizione di imitazioni dal violoncello al primo violino; al murmure dei violini « divisi » (lo « stormire della foresta » wagneriana?) della terza sopra gli spunti melodici del violoncello e della viola che « alludono » al tema senza enunciarlo; alla armonizzazione della quarta; al rumoroso ingranaggio di movimento della quinta sul trillo del primo violino, che ha fatto fantasticare il Bekker di Kermesse e di feste studentesche. La Coda, elaborata sul tema in contrappunto, ne riprende alla fine linearmente lo spunto concludendo — come il modello mozartiano — nello spirito della sua originaria semplicità. All’Allegro finale sono rivolte particolarmente le critiche di poca originalità; soprattutto per un tema a larghe armonie dei quattro strumenti, introdotto nel mezzo dell’animazione festosa come un improvviso richiamo di gravità, simile, per dirla con il De Marliave, a « profondi accordi d’organo nel mezzo d’una festa ». La sua somiglianza con quello — in sé peraltro più melodiosamente scorrevole — che figura nella parte di sviluppo del tempo mozartiano è innegabile, anche per il modo in cui esso viene poi gradatamente riassorbito nel movimento dominante. Si può notare soltanto che mentre in Mozart questo episodio non rappresenta che un momento felicemente poetico dello sviluppo, preludente alla ripresa, in Beethoven costituisce il secondo elemento tematico, facendo come tale parte integrante dell’esposizione, affiorando in avvertibili incisi nello sviluppo, riapparendo integralmente con le trasposizioni di rito nella ripresa: adempiendo così ad un compito essenziale, come forma ed espressione della struttura d’insieme. Si può aggiungere al riguardo che tipi analoghi di temi a carattere corale più o meno accentuato, sviluppato ed espressivo, figurano anche in altre pagine beethoveniane precedenti: finali della Sonata patetica (al quale più particolarmente assomiglia quello in oggetto), del Settimino, del Trio per pianoforte, violino e violoncello op. i n. 3; o anche di qualche anno posteriori come il primo ed ultimo tempo della Sonata a Kreutzer per pianoforte e violino.
Opus 18 Quartetto numero 6 in si bemolle maggiore per due violini, viola e violoncello
I) Allegro con brio – II) Adagio ma non troppo – III) Scherzo – Allegro – IV) La Malinconia (questo pezzo si deve trattare colla più gran delicatezza) Adagio – Allegretto quasi allegro – Prestissimo
Il primo tema, con la sua ascesa in una figura di movimento sulle note dell’accordo perfetto e la disinvolta impostazione a dialogo fra primo violino e violoncello e poi tra i due violini, dà luogo ad episodi dello stesso carattere a fondo scherzoso anche nello sviluppo, che ha in esso la sua base oltre che nella figura di passaggio al secondo tema. Questo, contenuto nel limite della sua funzione complementare, è definito in una fisionomia ritmica che ci richiama quella del congenere del primo tempo del Trio in sol maggiore per violino, viola e violoncello op. 9 n. /. Nella melodia dell’Adagio forma ed espressione si compenetrano felicemente: una maggiore dovizia d’ornamenti e di passi fioriti l’avrebbe reso lezioso, una diminuzione impoverito. L’ombra che si diffonde con l’entrata del secondo tema costituisce un episodio centrale, intenso ma non durevole, di offuscamento. L’originalità dello Schermo sta nel giuoco degli sformati, dei legati, degli staccati, dei sincopati che danno al tema nella sua misura 3/4 una particolare vivezza ritmica. Il Trio, basato sulla figurazione volteggiante del primo violino, non ha particolari caratteristiche; ma l’interesse si avviva quando un passo di raccordo, innestandosi alle note finali sullo schema tematico dello Scherzo, ma in tono minore, conduce alla ripetizione di questo. All’Adagio, con cui comincia l’ultimo tempo, Beethoven ha dato un titolo, “La malinconia”, aggiungendo che: « questo pezzo si deve trattare con la più grande delicatezza » (originale in italiano). L’espressione da grave, quale è in principio, si fa man mano anelante e diventa quasi angosciosa nella parte finale, dove contro l’ascesa cromatica in crescendo del violoncello si ripercuotono, allargandosi verso l’alto, le armonie sospese dei tre strumenti superiori, per poi ripiegare dolorosamente tutte insieme sull’ultimo accordo. Risponde a modo suo l’Allegretto quasi Allegro: un movimento a Ländler di spigliata noncuranza (nonostante due brevi ritorni, durante il suo corso, del tema grave, come a tentare di arrestarne la foga), culminante in una conclusione prestissimo. Nell’insieme non si sviluppa qui un conflitto drammatico, ma viene prospettata, senza svolgimento e tanto meno senza risoluzione, l’antitesi di due « principi » diversi. Una forma analoga (per quanto in altri aspetti, e molto meno incisiva) può ravvisarsi con il D’Indy nell’ultimo tempo della Sonata in re minore di Rust (n. 12 dell’edizione curata dallo stesso D’Indy), basato appunto sull’alternativa fra una melodia in re minore (Poco grave) ed una parte più ampiamente svolta in fa maggiore (Allegretto) di carattere pastorale.
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