Gli amori di Beethoven
Almeno nei suoi primi anni Beethoven fu attirato dalle donne, sia come soggetti per una sincera amicizia che come soggetti da amare. Wegeler ricorda che “Beethoven era sempre innamorato e di solito profondamente coinvolto”; e Ries che egli “amava molto guardare le donne; era spesso innamorato, ma di solito per brevi periodi”. Nonostante questo egli non si sposò mai, e a quanto pare non ebbe mai una relazione molto intima con una donna. In effetti il suo atteggiamento verso l’amore e il matrimonio fu ambivalente, e non può essere un caso che le sue amicizie femminili fossero donne di una superiore posizione sociale, e quasi invariabilmente legate a qualcuno, il che rendeva impossibile il matrimonio. Relegandole, per così dire, al di fuori del suo mondo reale, egli riusciva a riconciliare l’idea dell’amore e del matrimonio con la necessità di dedicare tutte le sue energie interiori alla musica. Nel 1801 Beethoven scrisse [a Wegeler, A. 54] di “una cara, incantevole fanciulla che mi ama e che io amo. Dopo due anni ho di nuovo qualche momento di beatitudine e per la prima volta sento che – il matrimonio potrebbe darmi la felicità. Purtroppo lei non è del mio ceto – e adesso – non potrei certo sposarmi” [probabilmente la Contessa Giulietta Guicciardi]. Nel 1804 avanzato, la sua amicizia per Josephine Deym (nata Brunsvik) si trasformò, per parte sua, in amore, ma egli rapidamente si adattò ad una relazione platonica quando gli divenne chiaro che aveva male interpretato i suoi sentimenti per lui. A parte una remota proposta alla cantante Maddalena Willmann, Beethoven parlò di matrimonio solo in relazione a Giulietta Guicciardi e Therese Malfatti, entrambe irraggiungibili. Ma dopo la sua morte una sua lettera d’amore del 1812 [6-7 luglio A.373] indirizzata al “mio angelo” e “mia immortale amata” fu trovata fra le sue carte. È un’appassionata espressione di sentimento ad una donna che senza dubbio ricambiava il suo amore. La sua identità è discussa; probabilmente si trattava di Antonie Brentano, anche se è possibile si trattasse di Josephine. La lettera è divisa in tre parti, scritte in due giorni successivi, e sembra essere la risposta al desiderio di un’unione completa da parte della donna. Ma nella parte finale Beethoven rinuncia alla possibilità, non solo per il momento, ma per sempre. L’amore non è diminuito. Egli ancora ha bisogno d’amore, ma egli è costretto a riconoscere che non può sposarsi. La lettera probabilmente non fu mai spedita, ed è probabile che sia stata uno sfogo per se stesso più che per la destinataria.
B.Cooper [b]
Mai accadde che Beethoven non fosse innamorato. Il primo amore suo e di Stephan von Breuning fu la signorina Jannette d’Honrath di Colonia, che non di rado trascorreva periodi di alcune settimane presso la famiglia von Breuning. Si trattava di una bella ragazza bionda, piena di vita, ben istruita, dai modi amabili, che traeva grandissima gioia dalla musica ed era dotata di gradevole voce. Ma il rivale favorito fu Carl Greth, Capitano austriaco residente a Colonia.
Ad essa seguì la più affettuosa simpatia per una certa e ben educata signorina v[on] W[esterholt].
Mi preme infine sottolineare che per quanto mi fu noto, tutte le donne che Beethoven amò appartenevano ad un ceto sociale superiore al suo.
Wegeler [b]
[La Baronessina Maria Anna Wilhelmine von Westerholt (1774-1852) fu conosciuta da Beethoven in casa di von Breuning. Divenne allieva del giovanissimo Ludwig e divenne un’ottima pianista. D’altra parte nella famiglia von Westerholt si faceva abitualmente musica: il padre, come ricordava Thayer, era un bravo fagottista e, come accadeva in altre famiglie nobili del tempo, si era formato una piccola orchestra casalinga in cui suonavano, per lo più strumenti a fiato, alcuni dei suoi servitori. Thayer riferisce che ella una volta suonò una difficile sonata di Sardi ad una velocità e con una precisione ammirevoli Naturalmente Beethoven se ne innamorò. Non è certo, ma probabilmente questa fu la prima delle numerose e complicate vicende sentimentali di Beethoven. Non sappiamo bene come andassero le cose fra i due, ma sappiamo benissimo che, come in un copione che viene recitato per la prima volta, e che si ripeterà sovente con minime varianti la von Westerholt sposò il barone Friedrich Clemens von Elverfeldt.]
Beethoven era molto sensibile alla bellezza ed al fascino femminile. Nei primi anni di Vienna, stando a Wegeler, era sempre coinvolto in storie sentimentali e “fece alcune conquiste che più di un Adone avrebbe trovato difficili se non impossibili“. Egli dedicò molto tempo a corteggiare donne che non potevano ricambiare il suo affetto: la maggior parte di loro apparteneva a “classi alte“ e vi era di solito un’insuperabile barriera sociale che impediva alla relazione di andare troppo oltre. Molte erano sposate o già promesse ad altri. Così egli era inevitabilmente destinato a non ottenere nulla e forse, a livello inconscio, era proprio questo che lui desiderava. Non sorprende perciò che la sua fosse una vita solitaria.
Kerman e Tyson [a]
[Sebbene, come si legge in Wegeler, Beethoven abbia avuto certo molti amori gli fu sempre difficile stabilire un rapporto duraturo e stabile con una donna. Dopo le prime infatuazioni giovanili, probabilmente per Eleonore von Breuning, la sua prima fiamma viennese di cui si abbia notizia fu la cantante Magdalena Willmann. La Willmann era originaria della regione di Würzburg. Beethoven la aveva conosciuta, lui poco più che ventenne, lei poco più che quindicenne dopo il suo esordio quale cantante nel 1790 nel teatro di corte a Bonn. Aveva partecipato con i musicisti di corte alla crociera, organizzata nel settembre 1791, dall’Elettore di Colonia Maximilian Franz, sul Reno, da Bonn a Mergentheim, alla quale aveva partecipato anche Ludwig. Non è escluso che questo richiamo alla giovinezza, abbia avuto un ruolo importante nel fatto che Beethoven, rincontrandola anni dopo, se ne sia lasciato affascinare. Le notizie al proposito sono molto scarse ma precise. Fu una nipote della Willmann a raccontare a Thayer, nel 1860, che suo padre, Max fratello di Magdalena, gliene aveva parlato spesso. Beethoven aveva chiesto di sposarla. Alla domanda perché Maddalena avesse rifiutato di sposarlo Thayer riferisce che dopo una breve esitazione la ragazza scoppiò a ridere e rispose “perché era così brutto e mezzo matto“.
Beethoven fu in contatto con parecchie altre dame nei suoi primi anni viennesi ma, sebbene egli abbia composto o dedicato ad alcune di esse brani musicali, è poco verosimile che abbia avuto con loro dei rapporti più intimi di quelli di una amicizia o stima. La contessa Josephine Clary, cantante dilettante; Christine Gherardi, alla fine del 1700 e ai primi del 1800 fu la più famosa cantante dilettante di Vienna e Beethoven la accompagnava spesso al pianoforte nelle serate musicali a casa del fidanzato dr. Joseph von Frank. La contessa Anna Luise Barbara Keglevich, che divenne, nel 1801, la principessa Odescalchi, ricevette la dedica di quattro importanti composizioni beethoveniane, fra cui spiccano la Sonata per pianoforte Op. 7 e il Concerto per Pianoforte e orchestra Op.15. Ma non esiste alcuna sicura testimonianza di un legame affettivo con queste donne.]
“Questa trasformazione è dovuta ad una cara, incantevole fanciulla, che mi ama ed io amo. Dopo due anni ho di nuovo qualche momento di beatitudine e per la prima volta sento che il matrimonio potrebbe darmi la felicità. Purtroppo lei non è del mio ceto – e adesso – non potrei certo sposarmi”.
Lettera di Beethoven a Wegeler, Vienna, 16 novembre 1801 [A.54].
[I biografi di Beethoven ritengono che qui egli alluda alla contessa Giuletta Guicciardi cui dava lezioni di piano e dedicò la Sonata Op.27 nr.2, “Chiaro di luna”.]
Difficile dire che ruolo abbia giocato l’amore nella vita sentimentale di Beethoven. Eccetto le lettere destinate all’Immortale Amata, [e a Josephine Deym] la sua corrispondenza contiene solo un piccolo numero di allusioni, vaghe ed oscure, a episodi della sua vita sentimentale.
La concezione che Beethoven ebbe dell’amore era il più borghese possibile. Per lui amore e matrimonio si confondevano. Ce lo conferma Schindler che riporta le seguenti parole di Beethoven: “Nur Liebe – ja nur sie vermag dir ein gluecklicheres Leben zu geben! O Gott – lass mich sie – jene endlich finden, die mich in Tugend bestaerkt – die erlaubt mein ist” (Solo l’amore, si solo esso potrebbe darti una esistenza più felice! Oh Dio fammi trovare infine quella che mi fortifichi nella virtù. Che sia mia legittimamente). E a Ries scrive l’8 maggio 1816: “I miei migliori saluti a sua moglie; purtroppo io non ho moglie; ne ho trovata una sola che, suppongo, non possederò mai; non per questo sono però un misogino”.
Alle donne, alle quali il suo cuore si interessa, Beethoven ha dedicato alcune opere. Ha fatto omaggio alla Contessa Odescalchi del Concerto per pianoforte e orchestra Op.15, composto nel 1797, e le Variazioni per pianoforte Op.34. A Giulietta Guicciardi ha dedicato la Sonata per pianoforte Op.27 nr.2, quasi una fantasia, in Do diesis minore del 1802, il cui primo movimento (il celebre adagio Al chiaro di luna) è pieno di malinconia. A Therese von Brunsvik la Sonata Op.78.
Nei molti suoi Lieder vi è una chiara predominanza di sentimenti melanconici; è sopratutto l’amore sfortunato o impossibile che ha fornito a Beethoven l’ispirazione per i suoi Lieder. Probabilmente vi è in questo una corrispondenza con il rimpianto, espresso a Schindler e a Ries, di non aver potuto fondare un focolare con una donna amata.
Boyer [a]
[Nei primi anni del 1800 i rapporti di Beethoven con persone dell’altro sesso furono sostanzialmente limitati a quelli con le ragazze delle famiglie Brunsvik e Guicciardi, naturalmente nobili. Qualcuno ha sostenuto che vi sia stato un legame amoroso con Therese Brunsvik, ma pare che questo non sia assolutamente vero. Therese fu piuttosto la testimone preoccupata ma, come ci dicono le sue memorie, certo favorevole ai rapporti di Ludwig con la sorella Josephine. La storia con la Guicciardi è emblematica dei rapporti di Beethoven con le donne. Egli ne fu certamente innamorato, e ricambiato. Al tempo stesso in cui ricambiava di eguale amore Beethoven, Giulietta era ormai impegnata seriamente con un giovane compositore di balletti – sulle cui capacità certi studiosi di Beethoven hanno molto trovato da dire, ma che al suo tempo ebbe grande successo – il conte Wenzel Robert Gallenberg. Inevitabilmente Beethoven fu lasciato e Giulietta sposò nel novembre 1803 Gallenberg, col quale si trasferì a Napoli ove egli lavorò per venti anni. Beethoven naturalmente era a conoscenza della sua relazione con Gallenberg. Ma quali erano i termini, sui due versanti di questa relazione? Nel 1823 Beethoven rivelò a Schindler la natura triangolare del loro rapporto, che è stato certo male inteso da molti studiosi anche illustri. Ma basta leggere il testo originale di Schindler o Ludwig van Beethovens Leben von Alexander Wheelock Thayer, Zweiter Band, neue bearbeitet und ergänzt von Hugo Riemann [3.Auflage, Leipzig, Breitkopf Härtel, 1922] alla pag. 309 per rendersi conto che molte volte i testi e i fatti sono stati mal interpretati dagli studiosi. Schindler riporta infatti una conversazione con Beethoven, avvenuta nel 1823. I Gallenberg erano tornati a Vienna dopo molti anni e il Conte Gallenberg era divenuto, sotto la protezione dell’impresario italiano Barbaja, direttore del Kärntnertortheater e supervisore della biblioteca. Schindler era stato inviato dal Conte Gallenberg a chiedere lo spartito del Fidelio che si trovava nella biblioteca. Gallenberg fece alcuni apprezzamenti su Beethoven che Schindler gli riferì e non piacquero al Maestro. Ne seguì una conversazione in cui Beethoven ricordò alcuni fatti del 1803, conversazione fatta per la maggior parte per iscritto perché, dice Schindler, eravamo in luogo pubblico e della quale Schindler dice di avere conservato il testo. A proposito del suo passato amore con Giulietta Beethoven scrisse, in frances: “J’étois bein aimé d’elle et plus que jamais son époux. Il è pourtant plutôt son amant que moi …». Ove se si pesano bene le parole non vi sono dubbi sul tipo di rapporti che passavano fra Giulietta e Beethoven; non si dimentichi infatti che a quei tempi, come ci dice qualunque buon dizionario francese dell’ottocento, il termine “amant” indica non solo chi ama appassionatamente ed ha un relazione completa ma anche una persona “qui tâche de se fair amair”, che cerca di farsi amare”. Ma molti hanno certo letto male questo testo. Salomon ad esempio scrive: “Lei mi amava moltissimo, molto più del marito. Eppure era lui il suo amante, non io ….” E così le cose sarebbero assai diverse! Abbiamo qui comunque un esempio abituale di come erano spesso le storie d’amore di Beethoven, attratto da donne legate spesso ad altri già prima di incontrarle, o che erano irraggiungibili per lui causa la diversità del ceto sociale. D’altra parte, come è stato osservato giustamente da molti, sembra quasi che Beethoven cercasse delle donne sempre irraggiungibili perché questo, comunque, presentava notevoli vantaggi per uno come lui, per il quale il celibato era una condizione necessaria per potersi dedicare completamente alla propria attività creativa, un uomo che probabilmente, dice Solomon, “considerava i rapporti amorosi un ostacolo alla propria missione creativa”. E questa non è una deduzione o una illazione dei posteri, lo disse e lo scrisse più volte a chiare lettere Beethoven, come ad esempio nella lettera [E.70] del 1801 a Wegeler nella quale gli comunica la sua gioia per l’incontro con Giulietta ma, dopo aver detto di esser riamato da lei commenta “è la prima volta che sento che il matrimonio potrebbe rendere felici, purtroppo essa non è del mio ceto sociale e ora – non mi potrei davvero sposare – … Per me non esiste gioia più grande di quella di esercitare ed esibire la mia arte”.]
[Un altra storia di amore simile alla precedente fu quella con Josephine von Brunsvik, cugina di Giulietta. Beethoven la aveva avuta come allieva anni prima, nel 1799. La ragazza poi era stata costretta dalla madre a sposare il conte Deym, di trent’anni più anziano di lei, conosciuto proprio nei giorni in cui prendeva a Vienna lezione da Beethoven, e in cui probabilmente il divino si era già invaghito di lei: le sue lezioni, svolte sotto l’occhio vigile della sorella Therese e della madre duravano anche quattro o cinque ore. Quando le ragazze ripartono il 23 maggio 1799 per Marton Vasar, in Ungheria, ove vivevano, Beethoven scrive di suo pugno, sul loro Album di Ricordi il lied “Iche denke dein” con quattro variazioni e con la seguente dedica
Nell’album delle due contesse
di Brunswik
il mio desiderio più caro è che esse qualche volta
nel suonare e cantare questa piccola
offerta musicale si ricordino
del
loro sincero ammiratore
Ludwig van Beethoven
Vienna 23 maggio 1799
Nel gennaio 1804 Deym morì e verso la fine del 1804, si comincia a parlare dell’amore di Beethoven per Josephine. Ne sono testimonianze inoppugnabili le lettere fra sorelle. Charlotte, che all’epoca, prima di sposarsi viveva a Vienna a casa di Josephine, scrive, il 19 dicembre a Therese: ”Beethoven viene molto spesso, dà lezione a Pepi (così era soprannominata Josephine) – è un pò pericoloso ti confesso“. Therese risponde il 20 gennaio 1805: “Ma raccontami, Pepi e Beethoven, questa si che è una notizia”. Queste sorelle Brunsvick erano proprio un esempio del comportamento libero della gioventù di allora, qualunque fosse il ceto sociale. Leggendo il diario di Therese si viene subito colpiti dal sospetto, quasi una certezza, che lei e Josephine passassero da eccessi di castità ad estremi opposti. Un rapporto di polizia su Josephine, in data 12 luglio 1815, osserva: “la moralità della contessa non sembra godere buona reputazione”. Sebbene le lettere di Beethoven a Josephine trabocchino delle effusioni che ogni innamorato può riservare alla donna amata sembra che Josephine, in questo periodo, non ricambiasse completamente l’amore di Beethoven. Le lettere di lei parlano di “affetto“, “profondo interesse“, “entusiasmo” per Beethoven, ma raramente del suo amore, e mai senza riserve e senza avvolgerlo di spiritualità. Certamente vi è in Beethoven, come si deduce dalle sue lettere, una passione che ci fa pensare ad un rapporto non solo spirituale. Pare tuttavia egli tuttavia abbia dovuto ad un certo cedere di fronte alla sua resistenza ed abbia acconsenti ad una relazione spirituale accettando la relazione alle condizioni da lei stabilite, espresse in una sua lettera nella quale dice a Beethoven di amarlo come un’anima devota ama un’altra e che la gioia della sua compagnia sarebbe stato per il più bell’omaggio se egli la avesse desiderata meno sensualmente. Gli obiettivi della gratificazione fisica e del matrimonio erano stati forse messi da parte? Nell’estate del 1805 le lettere di Beethoven assunsero un tono meno caloroso: nel settembre fu pubblicato An die Hoffnung Op. 32, una composizione nata per lei, e che a lei era stata regalata nella partitura originale, ma il suo nome non appare nella dedica, sostituito da quello della principessa Kinsky. Nell’autunno 1805 Josephine lasciò Vienna, per farvi ritorno nel 1806 e partì poi per Budapest. Alcuni mesi dopo il ritorno di Josephine a Vienna, verso la metà del 1807, Beethoven cercò di riprendere la loro amicizia, ma fu lasciato fuori della porta dai servitori di lei. Ma le cose cambiarono poi alcuni mesi dopo! Comunque nel diario della sorella Therese è espresso il rimpianto che Beethoven non avesse sposato Josephine.]
[Anche il corteggiamento a Therese Malfatti, una diciottenne di famiglia elevata, una avventura della primavera del 1810, ricalca storie precedenti. Fu infatti per Beethoven un tentativo senza speranza, fin dall’inizio osteggiato dai genitori. E probabilmente senza il minimo segno d’incoraggiamento da parte di lei. Beethoven conobbe i Malfatti tramite l’amico Gleichenstein, violoncellista di talento, che era fidanzato con, e sposò poi nel 1811, la sorella minore di Therese, Anna allora sedicenne. Le ragazze erano figlie di Giovanni Malfatti, un famoso medico, che ebbe anche in cura Beethoven. Possedevano una casa a Mödling ma passavano l’inverno a Vienna. Beethoven aveva 40 anni, si infatua di Therese e vorrebbe sposarla, [tanto che chiede all’amico Wegeler che vive a Coblenz di andare fino a Bonn – solo 150 chilometri! – per procurargli il certificato di battesimo, documento necessario al matrimonio.] A Therese Beethoven manda musiche, le procura un pianoforte, la esorta a dedicarsi alla musica. La ragazza lo considerò in fondo per quello che Beethoven era: un vecchio sordo di 40 anni, un po’ matto, che fosse pure un genio come le raccontavano, aveva l’abitudine di sputare nel fazzoletto e di guardaci dentro. Naturalmente qualche tempo dopo anche lei sposò il solito nobile dalla solida posizione sociale, il barone von Drosdick, che lavorava alla cancelleria della guerra a Vienna. Fra le musiche che Beethoven le mandò vi è il famoso foglio d’album passato alla storia, per un errore di trascrizione come für Elise, mentre portava scritto in alto, come ebbe a constatare Ludwig Nohl quando gli capitò fra le mai, für Therese. E glielo manda con una lettera di addio, molto lunga, in cui sospiri, moralismi e scuse mal celate si mescolano. La lettera, scritta verso la fine di maggio 1810, si conclude [K.245]:“Ora stia bene, diletta Teresa. … Si ricordi di me .. Dimentichi le mie pazzie. Nessuno più di me può augurarle una vita lieta e felice, anche se lei resta indifferente nei confronti del Suo devotissimo servitore ed amico Beethowen”. Siamo esattamente i giorni in cui Napoleone Bonaparte conquista Maria Luisa. Rassegnatosi al rifiuto di Therese Malfatti, Beethoven scrisse a Gleichenstein [primavera 1810, K.244]: “Dunque devo cercare sostegno solo nel mio cuore; al di fuori di me non ve ne è alcuno per me. No, niente altro che ferite riservano per me l’amicizia e simili sentimenti – sia così dunque: per te povero Beethoven, non vi è felicità nel mondo esterno, devi creartela in te stesso, soltanto nel mondo ideale tu trovi degli amici”.]
Le relazioni di Beethoven con le donne suggeriscono la stessa tendenza idealizzante che egli tentò di portare nel mondo dei suoni. Sembra abbastanza ovvio che ogni donna, nella lunga serie delle sue relazioni amorose, abbia rappresentato per lui una proiezione dell’ideale femminile e, che egli se ne rendesse conto o no – ed era spiritualmente abbastanza intuitivo da farlo – la sua esperienza in generale fu abbastanza analoga a quella descritta da Dante nella Vita Nuova. Appare anche ovvio, e del tutto caratteristico, che la sua più profonda e segreta relazione amorosa fu quella con Leonora, la moglie ideale della sua unica opera, eroina e campione di libertà.
Barford [a]
Beethoven voleva sentire il calore di una esperienza nel seno di una vera famiglia. Durante i due anni (1816-1817) durante i quali [il nipote] Karl frequentò l’Istituto Giannattasio, Beethoven si sentì a casa propria con Giannattasio e le due figlie ormai adulte, la maggiore delle quali, Fanny, teneva un commovente diario. Essa ricordava che Beethoven “pareva volersi consacrare anima e corpo“ a Karl. Fanny, che aveva di recente vissuto una storia d’amore finita tragicamente, si innamorò di Beethoven, ma egli in conformità al suo abituale modello di comportamento, l’attrazione per una donna irraggiungibile, sostenne di preferire la sorella minore, Anna, che era fidanzata con un altro.
Solomon [b]
In settembre i Giannattasio passarono una giornata a Baden con Beethoven e Karl; Fanny annotò nel suo diario che mentre erano là Beethoven ebbe una lite con un domestico e che ne uscì col volto “sfregiato”, e che passeggiando aveva confidato al padre di essere “infelice per amore”. La spiegazione dei rapporti di Beethoven con le donne va forse trovata in due annotazioni del suo diario. Una, non datata, risale probabilmente al 1816-1817 [Tagebuch nr.122]: “Senza l’unione delle anime il piacere sensuale è, e resterà sempre, bestiale; dopo non vi è traccia di nobile sentimento, ma piuttosto rimorso”. L’altra, datata Baden 27 luglio – 1817? -: “Solo l’amore, si solo l’amore può darti una vita felice. O Dio, fa che io la trovi finalmente, colei che mi rafforzi nella virtù e che mi sia concesso di far mia – quando M. (? o R.) mi passò davanti e sembrò rivolgermi un’occhiata”. Come la maggioranza degli uomini che appartenevano allora a un ambiente di cultura elevata pare che Beethoven, da giovane, abbia condotto una vita sessuale su due piani diversi. Da un lato le “faccende di cuore”, fra ragazze del suo steso ambiente, generalmente con una gratificazione sensuale minima; dall’altro ricorreva alle prostitute. D’altro canto le “faccende di cuore” che Beethoven ammetteva d’avere, risultarono tutte senza eccezioni, fallimentari; c’è chi sostiene la teoria, abbastanza convincente, che egli s’innamorasse solo di quelle donne che età, rango e circostanze rendevano irraggiungibili. Sembra che l’attrazione per le sue aristocratiche allieve – Therese von Brunsvik, Josephine Brunsvik von Deym e Giuletta Guicciardi sono fra le più famose – si facesse più forte quanto più irrealizzabile fosse l’unione; e nelle lettere all’”Immortale Amata”, ammesso e concesso che siano state spedite e non fossero solo una effusione letteraria, lo sentiamo nascondersi dietro vaghi pretesti a giustificare l’impossibilità di coronare la sua passione. Tutto quello che sappiamo con certezza, quello che conta per la nostra comprensione dell’uomo è questo: il divario fra l’amore ideale e la realtà dei sensi era, nel suo caso, più grande del solito, ed egli non riuscì a raggiungere quel compromesso che gli uomini in genere trovano nel matrimonio.
M.Cooper [a]
Senza voler stabilire nessuna relazione di causa ed effetto fra biografia ed opera, non si può fare a meno di ricordare che quell’anno 1809, in cui comincia ad attenuarsi il formidabile slancio creativo del secondo stile, [la Fantasia per pianoforte e orchestra Op.80 è del dicembre 1808; il Quinto Concerto per pianoforte Op.73 era stato scritto nel 1809 appunto] è stato per molti aspetti un anno decisivo nella vita di Beethoven. È l’anno in cui tramonta definitivamente il sogno familiare di Beethoven, per la rottura del fidanzamento con una Teresa (Malfatti) e quella sorta d’entusiasmo amoroso che l’aveva sorretto negli anni precedenti si spegne per sempre. È pure l’anno in cui le truppe napoleoniche occupano Vienna per la seconda volta, provocando la fuga di tutti i protettori di Beethoven, che resta solo nella città sconvolta, barricato nella cantina di suo fratello, la testa imbottita di cuscini per proteggere l’udito dal rombo delle cannonate particolarmente tormentoso per le sue orecchie di sordo. Infine il 1809 è l’anno in cui tre dei più nobili e ricchi protettori di Beethoven si uniscono per assicurare al compositore una lauta pensione che lo metta al riparo dal bisogno. Con una certa malignità si potrebbe pensare che a questo si debba la rarefazione della produttività beethoveniana dopo il 1810.
Mila [b]
[Da molti degli scritti che ci sono stati lasciati su Beethoven e i suoi rapporti con le donne, molti esegeti hanno tratto la conclusione sbagliata che i rapporti con le sue amate, quelle di cui conosciamo il nome, e che erano di solito dame altolocate, di elevata posizione sociale, spesso fidanzate o prossime a sposarsi con altri, siano stati soltanto dei rapporti platonici. Come ha scritto Riezler, molti hanno voluto “affibbiare a Beethoven una vita monacale”, o hanno affermato, come W.Krug, “che l’erotismo ha avuto nella sua vita scarsa o nessuna iportanza”, così che la forza dell’eros represso e sublimato “potesse accrescere la sua spiritualità”. Invece, come scrive ancora Riezler, sebbene gli fosse estranea la frivolezza, “egli fu, nelle cose dell’amore, normalissimo, intenso ed impulsivo come in tutto il resto; ebbe un grande cuore, anche se, per sua stessa ammissione, non si poteva definire in amore un carattere perseverante: egli stesso trovò sorprendente il fatto che una delle sue amiche potesse averlo tenuto avvinto per ben sette mesi”.
Non dimentichiamo che parliamo degli ultimi anni del diciottesimo e dei primi del diciannovesimo secolo. La spregiudicatezza degli usi erotici dell’epoca, e dato che parliamo di un musicista non dimentichiamo che molte informazioni al proposito ci vengono da casa Mozart e dalle sue cameriere, era tale che possiamo sicuramente escludere che il desiderio d’amore si concretasse, anche nelle classi superiori, soltanto nel matrimonio. I costumi delle ragazze della nobiltà non erano molto differenti da quelli delle ragazze borghesi o da quelli delle giovani dei ceti inferiori. Se qualcuno volesse pudicamente ritenere che, gli amori di Beethoven per le molte sue nobili innamorate non lo abbiano mai condotto a quei concreti comportamenti così abituali anche allora nei rapporti fra i due sessi, dato che le sue nobili amate sempre ne rifuggirono perché, per una straordinaria combinazione degli astri, erano “tutte” esseri superiori, abbiamo delle precise informazioni che lo disilluderanno subito. Mi pare decisivo, a questo proposito, il diario di Therese von Brunsvik. Come scrive Solomon, dal diario di Therese si deduce che lei e Josephine passavano da eccessi di castità ad estremi opposti, che si traducevano per Therese in sensi di colpa conseguenti ai suoi rapporti amorosi; la cosa era del tutto diversa per Josephine, che, come scrisse Therese nel suo diario il giorno 19 aprile 1809, “riusciva a concedersi liberamente e senza preoccupazioni”. Esiste poi un rapporto di polizia su Josephine, datato 12 luglio 1815, quindi molto posteriore ai suoi rapporti con Beethoven, che osserva: “la moralità della contessa non sembra godere buona reputazione, e si sostiene che essa non può essere assolta dal fatto di aver fornito motivi per liti coniugali”. Ma non credo che Josephine potesse essere cambiata, in peggio!, solo dopo l’epoca dei suoi rapporti con Beethoven. Resta da dire comunque che certe frasi, scritte da Josephine a Beethoven, quali questa “Vi fa forse andare in collera il fatto che io non posso soddisfare questo amore sensuale?”, sono state prese come prove per indicare che con Beethoven vi fu solo il solito rapporto ideale.
È certo d’altra parte che, negli scritti di coloro che gli furono vicini e pervenuti a noi, anche le situazioni che potrebbero essere scabrose, ci vengono mostrate attraverso un velo. Ries ad esempio ci ha raccontato questo episodio: “Una sera giunsi a Baden per proseguire le mie lezioni. Lo trovai seduto sul divano accanto ad una donna giovane e bella. Poiché mi parve di essere giunto in un momento inopportuno feci per andarmene, ma Beethoven mi trattene dicendo: ‘suoni un pò intanto’. I due rimasero a sedere dietro di me [!]. Avevo già suonato per un certo tempo, quando Beethoven all’improvviso mi disse ad alta voce: ‘Ries! Suoni qualcosa di molto sentimentale’. E dopo un poco: ‘qualcosa di malinconico’. E ancora: ‘qualcosa di appassionato’, e così via. … La signora se ne andò e Beethoven mi disse di non sapere chi era. … Molto tempo dopo la incontrai a Vienna e venni a sapere che era l’amante di un principe straniero”. Così il racconto. Ma che ci lascia liberi di immaginare molte cose!]
La così detta lettera all’Immortale Amata e il relativo enigma.
[L’enigma dell’”Immortale Amata” è un vero romanzo giallo-rosa che si apre subito dopo la morte di Beethoven. Beethoven aveva lasciato per testamento, al nipote Karl, sette titoli bancari, del valore di circa 4000 fiorini C.M.. Subito dopo la sua morte, il 27 marzo 1827, cominciò la ricerca affannosa di questi titoli da parte di Johann van Beethoven, Stephan von Breuning, Anton Schindler e Holz. Come racconta Gerard von Breuning, i titoli non saltavano fuori, tanto che Johann, di cui erano ben note l’avidità e l’avversione per gli amici del fratello, insinuò che si stava facendo una ricerca per finta. Ma nel pomeriggio, mentre la situazione si faceva quasi insostenibile, “Holz tirò, casualmente un chiodo che sporgeva in un armadio, facendo apparire uno scomparto in cui erano custoditi, insieme ad altre carte, i titoli così a lungo cercati”. Le altre carte erano il Testamento di Heiligenstadt, una lettera in tre parti, oggi nota come lettera all’Amata Immortale, e due miniature di giovani donne. In effetti, a quanto riferisce Schindler, Holz sapeva dove fosse il nascondiglio; giunto nel pomeriggio, si unì subito alle ricerche, e lo fece saltare fuori, non certo casualmente. La lettera, è formata da tre parti separate. Ma perché la lettera era in possesso di Beethoven? Non vi era una busta e naturalmente, in assenza di timbri postali, non potremo mai sapere se sia stata mai spedita. Così che non sapremo mai se sia stata restituita a Beethoven dalla destinataria o se non sia sempre rimasta nelle mani del Maestro.]
Ecco la lettera.
[A.373] Ad una donna sconosciuta.
Autografo alla Deutsche Staatsbibliotek di Berlino
6 luglio, di mattina
Mio angelo, mio tutto, mio io – Solo poche parole per oggi, e addirittura a matita (con la tua). – Non sarò sicuro del mio alloggio fino a domani; che inutile perdita di tempo è tutto ciò! – Perché quest’angoscia profonda, quando parla la necessità – il nostro amore può forse durare senza sacrifici, senza che ciascuno di noi pretenda tutto dall’altro; puoi tu mutare il fatto che tu non sei tutta mia, io non sono tutto tuo? Oh Dio!, rivolgi il tuo sguardo alla bella natura e dà pace al tuo animo per ciò che deve essere. L’amore esige tutto e ben a ragione, così è di me per te e di te per me – Ma tu dimentichi così facilmente che io debbo vivere per me e per te. Se fossimo completamente uniti, tu sentiresti questa dolorosa necessità tanto poco quanto la sento io. Il viaggio è stato orribile. Sono arrivato qui soltanto la mattina alle quattro. Siccome c’erano pochi cavalli la diligenza ha scelto un altro itinerario; ma che strada orribile! Alla penultima stazione mi hanno sconsigliato di viaggiare di notte, hanno cercato di ispirarmi paura d’un bosco, ma ciò non è servito ad altro che a spronarmi – e ho avuto torto. La vettura ha finito con lo sfasciarsi su quell’orribile strada, un semplice sentiero di campagna senza fondo. Se non avessi avuto quei due postiglioni sarei rimasto per strada. Per l’altra strada, quella solita, Esterhàzy con otto cavalli ha avuto la stessa sorte che io con quattro. Tuttavia, in un certo senso la cosa mi ha anche fatto piacere come succede ogni volta che supero felicemente qualche ostacolo. Ora voglio passare in fretta dagli eventi estrinseci a quelli intimi. Confido che ci vedremo presto; ed anche oggi mi manca il tempo per dirti i pensieri che ho rimuginato questi ultimi giorni sulla mia vita. Se i nostri cuori fossero sempre uno vicino all’altro, non mi capiterebbe certo di avere simili pensieri. Il mio cuore trabocca dal desiderio di dirti tante cose. Ahimé, ci sono momenti in cui sento che la parola è inadeguata. Cerca di essere serena – e sii per sempre il mio fedele unico tesoro, il mio tutto, come lo sono io per te. Sono gli dei che debbono provvedere, qualunque possa essere il nostro destino.
Il tuo fedele
Ludwig
Lunedì sera, 6 luglio
Tu stai soffrendo, tu anima mia dilettissima – Proprio adesso mi rendo conto che le lettere debbono essere consegnate di buon mattino, lunedì – o giovedì – gli unici giorni in cui da qui parte la posta per “K” – Tu soffri – Oh! dovunque io sia, tu sei con me – Io farò in modo che tu ed io … che io possa vivere con te. Quale vita!!! Quale essa è ora!!!! senza di te – perseguitato qua e là dalla bontà della gente, una bontà credo – che vorrei meritare quanto poco invece la merito – omaggio dell’uomo all’uomo – questo mi addolora – e se considero me stesso nella cornice dell’universo, che cosa sono io e che cosa è colui – che è detto il più grande degli uomini – eppure – è qui che si ritrova l’elemento divino dell’uomo – Io piango se penso che soltanto sabato riceverai le mie prime notizie – Per quanto tu mi ami – io però ti amo di più – ma tu però non ti celare mai a me – buona notte – Poiché faccio la cura dei bagni, debbo andare a dormire. Oh Dio – così vicini! Così lontani! Non è una creazione del cielo il nostro amore? – e quel che più conta, altrettanto salda che il firmamento celeste?
Buon giorno, 7 luglio
Anche a letto i miei pensieri corrono a te, mia immortale amata, lieti, talvolta, poi di nuovo tristi, in attesa di sapere se il destino ci esaudirà – Per affrontare la vita, io debbo vivere esclusivamente con te, oppure non vederti mai. Sì, ho deciso di andare errando lontano, fino a quando potrò volare fra le tue braccia, dirmi davvero a casa mia presso di te e, circondato dalle tue braccia, lasciare che la mia anima sia trasportata nel regno degli spiriti beati – Ahimé, purtroppo deve essere così – Tu ti rassegnerai, tanto più perché tu conosci la mia fedeltà verso di te, mai alcun’altra donna potrà possedere il mio cuore, mai – mai – Oh Dio, perché si deve star lontani da chi si ama tanto; eppure la mia vita a V[ienna] in questo momento è una vita atroce – Il tuo amore ha fatto di me il più felice ed il più infelice dei mortali – Ora alla mia età, avrei bisogno di regolarità e di stabilità nella mia vita – può accordarsi questo con i nostri rapporti? Angelo mio, proprio ora vengo a sapere che la posta parte tutti i giorni – e debbo perciò terminare, in modo che tu possa ricevere subito la lettera – Sii calma; soltanto considerando con calma la nostra esistenza, possiamo raggiungere il nostro scopo che è di vivere assieme – Sii calma – amami – Oggi – ieri – che struggente desiderio, fino alle lagrime, di te – di te – te – vita mia – mio tutto, addio. Oh continua, continua ad amarmi – non disconoscere mai il fedelissimo cuore del tuo amato
eternamente tuo
eternamente mia
eternamente l’uno dell’altro L.
[Anton Schindler, che alla morte del Maestro si impossessò della “lettera all’immortale amata”, fu il primo a pubblicarla nella sua biografia del compositore, che apparve nel 1840.
E naturalmente fu anche il primo ad avanzare un’ipotesi, del tutto priva di prove, relativa alla destinataria. Nella prima edizione del suo libro, del 1840, egli sostenne che la destinataria fosse la Contessa Giulietta Guicciardi, e che la lettera fosse stata scritta nel 1806 da una stazione termale ungherese. Solo molto tempo dopo si è scoperto che era stato lui ad inserire di suo pugno, per tre volte, la data 1806 sulla lettera, alla quale, nella data, mancava l’anno! È ben noto che Schindler non aveva, e non poteva avere, alcuna notizia di prima mano sugli anni viennesi di Beethoven fino almeno al 1820, tanto che aveva cercato di coinvolgere Stephen von Breuning e Wegeler nella preparazione di una biografia di Beethoven. Schindler venne a sapere di Giulietta solo anni più tardi, che aveva sposato il conte Gallenberg nel 1803 e che si era, subito dopo, trasferita in Italia, stabilendosi definitivamente a Napoli. Allora nella terza edizione del libro, disinvoltamente retrodatò la lettera dal 1806 al 1801.
Ma naturalmente nell’ottocento, prima che si scoprisse quante manipolazioni Schindler aveva fatto sui materiali in suo possesso e nei riferimenti alla vita di Beethoven, l’opinione di Schindler fu presa per buona. Tanto che anche Nohl, nel suo Beethovens Leben, 1864-1867, identificò ancora la Guicciardi con l’Immortale Amata. Nell’edizione del suo libro del 1879 (Ludwig van Beethovens Leben di Thayer-Deiters, Berlino 1866-1879) fu Thayer a criticare e demolire le asserzioni di Schindler e ad avanzare l’ipotesi che la destinataria della lettera fosse Therese von Brunsvik. Anche questa ipotesi si basava su debolissime prove: vi era stata certo una ben documentata amicizia fra Beethoven e i fratelli e sorelle Brunsvik, Franz, Therese e Josephine; vi sono alcuni accenni a Therese in alcune lettere ai Brunsvik; a Therese era stata dedicata la Sonata Op.78 nel 1809. Oggi sappiamo che nel 1804 Beethoven frequentò Josephine, vedova Deym, con la quale, e non con Therese, si stabilì certo una relazione amorosa! Thayer, che pure era stato il primo a riconoscere che gli unici anni in cui poteva essere stata scritta la lettera erano il 1795, 1801, 1807, 1812 e 1818 – poiché solo in quegli anni il 6 luglio cadeva di lunedì- per sostenere la sua tesi, che prevedeva il 1806 quale data della lettera, giunse a scrivere che vi era un errore di un giorno nella data scritta da Beethoven: ma era una tale autorità, in tema di studi beethoveniani, che la sua opinione venne ritenuta valida fino al 1909, anno in cui si poté dimostrare, come ci ricorda Solomon, che all’inizio di luglio 1806 Beethoven era a Vienna e Therese Brunsvick in Transilvania. Come ha scritto Solomon “il più obiettivo e scrupoloso dei biografi di Beethoven, era caduto vittima del proprio desiderio di proteggere Beethoven, impedendo che lo si accusasse di essersi innamorato di una donna il cui carattere, età o stato coniugale non corrispondevano ai parametri del moralismo vittoriano. Egli scelse Therese Brunsvick per controbattere il fatto che l’Immortale amata fosse una donna sposata, Giulietta Guicciardi, oppure l’allora quattordicenne Therese Malfatti”. A far salire ancora di più la quotazione di Therese von Brunsvick, a convincere anche i titubanti, comparve lo scoop di Marie Hrussoczy (Mariam Tenger) che, nel 1890 pubblicò a Bonn il libro “Beethovens unsterbliche Geliebte, nach persönlichen Erinnerung” (L’Immortale Amata di Beethoven: ricordi personali). Fu un enorme successo e il libro fu tradotto subito in inglese. Era, come dice Solomon, “un resoconto dettagliato e melodrammatico della storia d’amore di Therese Brunsvick e Beethoven e del loro fidanzamento segreto del 1806”. E nonostante che A.C.Kalischer, nel 1891, dimostrasse che il libro era tutto un frutto di fantasia, il mito resistette. E così si spiegano certe citazioni sbagliate di certi biografi di Beethoven a proposito delle donne da lui amate nei primi anni del 1800. L’identificazione di Therese von Brunsvik con l’Immortale Amata fu accettata ancora da La Mara (Marie Lipsius) nel suo libro Beethovens unsterbliche Geliebte del 1909, le cui conclusioni erano basate sulle memorie di Therese, che furono pubblicate allora, e su conversazioni coi discendenti delle famiglie Brunsvik e Guicciardi-Gallenberg. E La Mara riteneve che la “K”, iniziale della località ove era diretta la lettera, volesse indicare il castello dei Brunsvik a Korompa, e non, come sappiamo oggi, Karlsbad. Con l’uscita del libro di W.A.Thomas San Galli, Die Unsterbliche Geliebte Beethovens, nel 1909, la prospettiva cambiò radicalmente. Thomas San Galli, giunse alla conclusione che si potevano escludere tutti gli anni eccetto il 1812, e che il luogo in cui fu scritta la lettera era verosimilmente Teplitz e che “K”, la località dove era diretta la lettera, era Karlsbad. Ma l’identificazione dell’attrice della commedia amorosa fu verosimilmente ancora una volta sbagliata. Egli la identificò in Amalia Sebald: in una lettera del 17 luglio, scritta da Teplitz a Breitkopf e Härtel [A.375] e della quale riparleremo, Beethoven pregava l’editore di spedire alla Sebald, a Berlino, la partitura del “Christus am Ölberge” e i Lieder su testi di Goethe e tutti gli altri suoi Lieder.
Le conclusioni di Thomas San Galli relative all’anno 1812 furono accettate da tutti gli studiosi successivi e furono confermate, e arricchite di altri particolari di cui parleremo, nel libro di Max Unger, Auf Spuren von Beethovens “Unsterbliche Geliebten” (Sulle tracce dell’Immorale Amata di Beethoven), apparso nel 1910. La conclusione di Unger era però che la destinataria della lettera era e rimaneva sconosciuta, perché osservava, se fosse stata Amalia Sebald, Beethoven avrebbe potuto darle direttamente gli spartiti di cui scrive a Breitkopf e Haertel il 17 luglio. Infatti Amalia in quell’estate 1812 soggiorò a Teplitz, ove come vedremo arrivò anche Beethoven. E abbastanza curiosamente, nel 1910, Thomas San Galli, in uno scritto intitolato Beethoven und die unsterbliche Geliebte: Amalie Sebald, Goethe, Therese Brunsvick und anders, [riportato nella “Appendice F”, di Thayer’s life of Beethoven. Revised and edited by Elliot Forbes, del 1967, ma non da Solomon nel suo Su Beethoven], identifica nuovamente la destinataria della lettera in Therese von Brunsvik, che si trovava in Moravia nel castello di Wittschap, vicino ad Iglau, con la sorella Josephine: come se Beethoven, diretto a Teplitz, potesse esser passato da Iglau, ove avrebbe avuto luogo l’incontro cui si riferisce la lettera. Nell’edizione della biografia di Thayer-Deiters, pubblicata da Riemann nel 1911, si accetta la data del 1812, senza indicare il nome dell’Amata immortale. Ma nell’edizione americana del 1921, il revisore Krehbiel, ignorando tutto il resto e rifacendosi allo scritto di La Mara del 1909, riesuma il nome di Therese e la data del 1807. Un’idea ripresa ancora nel 1928 da Rolland in Beethoven. Les grandes epoques créatrices. De l’Héroique à l’Appassionata. Ma intanto nel 1920 una nuova pretendente al ruolo era apparsa alla ribalta: Josephine von Brunsvik Deym. Nel suo Beethoven und die Brunsviks, La Mara si fa forza delle preoccupazioni che traspaiono nelle lettere delle sorelle di Josephine, Charlotte e Therese, nelle quali si parla appunto delle continue visite di Beethoven alla vedova Josephine nel 1804, 1805, e la data della lettera viene di nuovo riportata al 1807. E questa ipotesi verrà ancora ripresa, come vedremo, da S.Kaznelson, che accetta la data, ormai considerata “sicura” da tutti gli studiosi del 1812. Ma vediamo i pro- e soprattutto i contro in questa ipotesi.
L’ipotesi di Siegmund Kaznelson, esposta con dovizia di particolari e informazioni, nel suo “Beethovens ferne und usterbliche Geliebte” del 1954, è non solo che la lettera sia stata scritta alla contessa Josephine Brunsvik Deym-Stackelberg, ma che Beethoven fosse il padre della terza figlia che la contessa ebbe durante il suo secondo matrimonio, una bambina chiamata Minona, nata il 9 aprile 1813.
Che vi fosse stata un’affettuosa relazione fra Beethoven e Josephine è risaputo. Josephine (1779-1821), terza figlia del Conte Anatol Brunsvik e della Baronessa Anna Barbara von Seeberg, Ungheresi, aveva sposato nel giugno 1799 il conte Joseph Deym, di trenta anni più anziano di lei. Dopo la morte del marito, avvenuta nel gennaio 1804, Josephine continuò a vivere fino al 1808, nel loro palazzo di Vienna. E fu durante questi anni, dal 1804 al 1808 che si intrecciò la sua relazione con Beethoven, cui accennano le sorelle Brunsvik nelle loro lettere. Nell’estate 1808 lasciò Vienna coi figli e la sorella Therese. Il 13 febbraio 1810 Josephine sposò in seconde nozze il Conte Christoph von Stackelberg che aveva comprato una proprietà in Moravia, e da allora tornò raramente a Vienna. Come racconta Kaznelson, vi furono delle controversie legali relative al pagamento, con una causa, che fu perduta da Stackelberg. La rovina economica che ne seguì distrusse il matrimonio e, a quanto riporta Kaznelson, dopo una scenata nella quale Stackelberg accusò Teherese e Josephine di essere la causa della crisi finanziaria, egli scomparve verso la fine di maggio o l’inizio di giugno 1812. A detta di Therese non lo videro più fino al 4 dicembre 1812, in occasione di una sua inaspettata visita. Frattanto nell’estate, Therese aveva portato i sei nipoti, i quattro Deym e i due Stackelberg a Dornbach, mentre Josephine sarebbe rimasta sola a Vienna. Nel diario di Therese non vi è più alcuna annotazione dal 9 giugno al 6 agosto 1812. Il 9 aprile 1813 Josephine diede alla luce una bambina, Minona. Poiché, secondo i dati da lui riferiti, era stata separata dal marito per dieci mesi, Kaznelson avanzò l’ipotesi che si trattasse della figlia dell’amore proibito con Beethoven.
Numerosi elementi permettono di confutare questa ipotesi secondo molti, insostenibile. Prima di andare avanti bisogna ricordare che, a quell’epoca, il viaggiatore lasciava sempre una traccia della sua presenza negli elenchi della polizia, cui doveva essere denunciato arrivo e alloggio dei turisti o dei passeggeri. Se si trattava di personaggio altolocato se ne ritrovavano facilmente notizie sui quotidiani che riportavano la notizia, un po’ come accade oggi per i VIP. Contro l’ipotesi di Kaznelson, secondo Solomon, vi sono in primo luogo, almeno tre lettere del 1812 (una, del 14 giugno, di Stackelberg alla madre; una, del 25 luglio, di Franz Brunsvick alla sorella; una, del 13 agosto, di un certo Hager a Josephine) che sembrano dimostrare come il matrimonio con Stackelberg non si fosse ancora del tutto sfasciato nel giugno 1812, ma anzi che Stackelberg e Josephine vissero insieme a Vienna, certamente fino al 13 agosto 1812. Non vi è nessuna prova, e vedremo che questo sarebbe una cosa molta importante per poterne sostenere la candidatura quale destinataria della lettera, che Josephine si sia trovata nelle stazioni termali boeme, nel periodo luglio-agosto 1812 (mentre i registri e gli elenchi di polizia ci fanno sapere che la Contessa Josephine Deym-Stackelberg fu a Karlsbad nell’agosto 1811!). Inoltre, a quanto riferisce Solomon, secondo H.Goldschmidt (Um die unsterbliche Geliebte, Lipsia 1977) il matrimonio di Josephine si sfasciò solo definitivamente nell’aprile 1813. In particolare la recente scoperta di tredici lettere scritte da Beethoven a Josephine negli anni dal 1804 al 1807, sta contro l’ipotesi che essa potesse essere l’Immortale amata. Le lettere non fanno pensare ad una grande passione da parte di Josephine, riluttante addirittura a incontrare Beethoven che, come ci dicono le lettere, fu lasciato più volte fuori della porta. Anche se Therese scrive nel suo diario che “Beethoven amava appassionatamente Josephine”, e ancora il 4 febbraio 1846 annotava “Perché mia sorella J. non ha preso Beethoven per marito quando era la vedova Deym?”, non esiste alcun documento che dimostri che dopo il 1807 (epoca dell’ultima delle 13 lettere ritrovate) vi siano stati ancora rapporti, e tanto meno di tipo amoroso, fra Ludwig e Josephine, sebbene il legame di Beethoven con Franz e Therese Brunsvik si sia protratto fino agli ultimi anni di vita del Maestro.
Quest’ipotesi è stata ancora sostenuta, nel 2001, da Chris Stadtländer (in “Ewig unbehaust und verlibt … Beethoven un die Frauen”), che insiste sul fatto che Therese nel suo diario, dopo il 22 settembre 1812 scrisse, a proposito di Stackelberg, “è sei mesi che non lo vediamo”, e che Josephine poteva essere a Praga nei giorni 3-4 luglio 1812, data come vedremo molto importante per la storia dei rapporti fra Beethoven e l’immortale amata, senza risultare sui registri di polizia, in quanto ospite della sua carissima amica, sorella del suo primo marito, Contessa Victoria Golz. Ma Stadtländer non parla né delle lettere citate da Solomon né del fatto che Josephine non risulta essere stata a Vienna e a Karlsbad a quell’epoca. Ma vediamo, nel tentativo di identificare la protagonista della commedia amorosa, quali sono i dati storici non discutibili e a quali leggi di tempo e luogo teatrale deve corrispondere la figura della protagonista. I dati inoppugnabili, come riporta anche l’edizione della Thayer’s Life of Beethoven del 1867, sono i seguenti:
1. la lettera porta inequivocabilmente la data del 6 luglio. Il primo post-scriptum è di lunedì sera, 6 luglio. Il secondo post-scriptum è del 7 luglio, al mattino.
2. Beethoven lamenta il suo terribile viaggio, fatto contemporaneamente, ma per una strada diversa da quella seguita da un Esterhàzy: la vettura di Beethoven si sfasciò, ma anche Estheràzy ebbe la medesima sorte. Beethoven dice di essere arrivato soltanto “ieri mattina alle 4” (cioè il 5 luglio).
3. Beethoven scrive (in data 6 luglio) che “non sarà sicuro del suo alloggio fino a domani”.
4. in un primo momento Beethoven scrive, nella parte della lettera stesa il lunedì sera, 6 luglio, che le lettere devono essere consegnate al lunedì o al giovedì mattino, unici giorni in cui la posta parte per “K”.
5. nel post-scriptum del 7 luglio, Beethoven dice di essere venuto a sapere che la posta parte tutti i giorni.
Ora è certo che il 6 di luglio cadesse di lunedì solo negli anni 1795, 1801, 1807, 1812, e 1818 (e già Thayer lo aveva rilevato). Tutti i soggiorni e gli spostamenti di Beethoven in quegli anni sono stati stabiliti con ragionevoli probabilità di certezza. L‘unico anno cui corrispondono un viaggio alle date che si deducono dalla lettera e i fatti inoppugnabili elencati nel Thayer è il 1812; si può, come vedremo, arguire che egli abbia scritto la lettera a Teplitz, immediatamente dopo il suo arrivo da Praga, avvenuto il 5 luglio, Praga ove si era fermato due o al massimo tre giorni in quei primi di luglio 1812.
Prima di andare avanti ricordiamoci di quanto è stato detto a proposito della registrazione dei passeggeri e dei turisti all’epoca.
Vediamo ora certi fatti come si possono riassumere, in base alle ricerche di Solomon (pubblicate nel suo Su Beethoven), e alle note all’Epistolario di Beethoven nella edizioni di Anderson, 1968 e della Accademia Nazionale di Santa Cecilia, 2000, e alle lettere raccolte da Kastner.
Nel 1812 Beethoven lasciò Vienna il 28 o il 29 giugno per recarsi a Praga ove giunse il primo luglio. Il suo arrivo venne riportato sul supplemento nr.80 al Prager Oberpostamts-Zeitung di venerdì 3 luglio 1812; egli scese alla locanda del Cavallo Nero. A Praga rimase tre giorni, ove l’ultima sera, il 3, doveva incontrarsi con Varnhagen von Ense. Come vedremo il 3 luglio è la data di arrivo a Praga di una facoltosa famiglia che viveva, in quel periodo, a Vienna. L’incontro con von Ense non ebbe luogo, e il 14 luglio Beethoven gli scrisse una lettera in cui si scusava di non averlo potuto incontrare, ma senza dirne il motivo [A.374, E.583]. Sabato 4 luglio Beethoven partì da Praga per Teplitz, contemporaneamente al Principe Anton III Estheràzy (1786-1866), ambasciatore austriaco a Dresda, e anche la sua partenza fu segnalata dal locale Oberpostamts-Zeitung. A conferma di questo sono stati ritrovati due messaggi da lui firmati, uno da Praga del 30 giugno 1812, e l’altro da Teplitz dell’8 luglio, in cui informa il ministro Metternich che egli sta partendo per Dresda.
Beethoven arrivò a Teplitz il 5 luglio e fu registrato nel Registro Civico in data 6 luglio, come alloggiato al Zur goldenen Sonne (di questo documento vi è la fotocopia nell’Epistolario di Beethoven pubblicato dall’Accademia di Santa Cecilia); il giorno dopo, 7 luglio, si trasferì all’albergo Zur Eiche. Ed è per questo che il 6 luglio scrive che non saprà il suo alloggio definitivo fino al giorno dopo.
Non esiste dunque più alcun dubbio, come sottolinea Solomon, sul fatto che Beethoven sia passato per Praga e abbia poi soggiornato a Teplitz all’inizio di luglio del 1812.
La lettera avrebbe dovuto raggiungere l’amata a “K”. Che località era? I dati inoppugnabili della lettera, permettono di concludere che la località era Karlsbad. Beethoven infatti scrive di avere appreso “che le lettere devono essere impostate al mattino presto di lunedì e giovedì”. Unger ha scoperto un avviso di quel tempo, relativo al servizio postale, che recita: “la Reichpost parte per Saaz, Karlsbad e Eger, il lunedì e il giovedì alle 8 circa”. Ed è a questo che si riferisce, evidentemente, Beethoven. Al quale però era sfuggita, in un primo momento, una postilla, alle quale si riferisce nel secondo post-scriptum, postilla che sul manifesto era scritta in caratteri più piccoli, e che recita: “Nota: Dal 15 maggio al 15 settembre la posta … parte tutti i giorni prima di mezzogiorno, alle 11 circa, per le suddette destinazioni”. A conferma definitiva di tutto questo vi è poi una lettera di Beethoven, datata Teplitz, 17 luglio 1812, [A.375] (il cui autografo è conservato alla Beethovenhaus di Bonn), diretta a Breitkopf e Härtel che inizia: “Le dico soltanto che mi trovo qui dal 5 luglio”.
E ad escludere in modo tranciante che la lettera possa risalire ad un anno diverso dal 1812 sta un fatto, non citato dagli studiosi che hanno scritto sulla lettera all’Amata Immortale: la lettera è scritta su un tipo di carta che Beethoven usò soltanto nell’estate del 1812 [E.582, nota 2].
Beethoven da Teplitz partì poi, attorno al 27 luglio, per Karlsbad, ove fu iscritto nel Registro Civico il 31 luglio; si recò poi a Franzesbad, come ci dice il Registro dell’8 agosto, e poi tornò a Teplitz il 10 settembre.
Ma rimane sempre il problema: chi era la destinataria? Non dimentichiamo che Thomas San Galli, dopo avere chiaramente identificato l’anno della lettera, nel 1909 riteneva che l’amata fosse Amalia Sebald. La cosa poteva essere plausibile, dato che Beethoven aveva conosciuto la Sebald a Teplitz nel 1811 e la rivide proprio a Teplitz dopo il 10 settembre 1812, al ritorno da Franzensbad. Ma chiunque legga le lettere che i due si scambiarono durante quel soggiorno [K.343-350], durante il quale Beethoven ebbe dei disturbi che lo costrinsero a letto, non può che stupirsi di tale attribuzione: il tono dei biglietti esclude nel modo più assoluto che fra i due potesse esistere il travolgente rapporto amoroso che traspare dalla lettera all’Amata Immortale.
Doveva comunque esistere una persona con la quale Beethoven avesse potuto stringere una relazione amorosa che ai primi di luglio del 1812 aveva raggiunto l’intensità che traspare dalla lettera. In un’acuta analisi del problema Solomon aveva elencato una serie di punti irrinunciabili.
La donna doveva aver vissuto a Vienna almeno negli ultimi tempi, poiché dice Solomon, “è assolutamente improbabile che la relazione avesse raggiunto un tale grado di eccitazione solo per via epistolare”. Non si deve dimenticare che nel settembre 1816, Fanny Giannattasio, udì una conversazione di Beethoven con suo padre, in cui il Maestro diceva di avere conosciuto cinque anni prima una persona che, unendosi a lui, lo avrebbe reso felice. “Ma era una cosa impensabile, una chimera. Eppure tutto era come il primo giorno”. La prima condizione irrinunciabile era dunque che la donna vivesse a Vienna in stretto contatto con Beethoven almeno nei mesi precedenti il 12 luglio 1812. Questo permette di escludere subito alcune donne che erano state candidate a sostenere il ruolo di Amata Immortale, ma che attorno al 1810-1812 non vivevano a Vienna: Therese Malfatti, Bettina Brentano von Arnim, Amalie Sebald, Antonie Adamberger, Elise von der Recke e Rahel Levin.
Poiché dalla lettera pare potersi dedurre che Beethoven e la donna si erano incontrati nei giorni immediatamente precedenti il 4 luglio, Beethoven vi descrive infatti solo eventi accaduti fra il 4 e il 7, altra condizione irrinunciabile è che la donna fosse a Praga negli stessi giorni in cui vi era Beethoven.
Infine, siccome la lettera era diretta a Karlsbad, e Beethoven scrive “ci vedremo sicuramente presto”, e sappiamo che egli si recò a Karlsbad alla fine di luglio, un’altra condizione irrinunciabile è che la dama fosse a Karlsbad dalla settimana dal 6 luglio in poi, ove doveva arrivare la lettera, e che naturalmente vi fosse arrivata da poco, proveniente da Praga. E quest’ultimo punto permette di escludere Dorothea Ertmann, Elise von der Recke e la principessa Marie Lichtenstein i cui nomi si trovavano già nei registri della polizia di Karlsbad.
Con chi Beethoven strinse una solida amicizia attorno al 1810-1812? Beethoven aveva conosciuto Antonie Brentano, cognata di Bettina Brentano, in occasione di una loro visita al compositore, nel maggio 1810.
Antonie Brentano era nata a Vienna il 28 maggio 1780. Era figlia di Johann Melchior Edler von Birkenstock, un famoso uomo politico e grande intenditore d’arte che del suo palazzo in Vienna aveva fatto un vero e proprio museo. Educata in un rigoroso convento di Suore Orsoline sposò nel 1798 Franz Brentano (mercante di Francoforte, fratellastro del poeta Clemens Brentano e di Bettina Brentano von Arnim). La vita matrimoniale dei Antonie, nonostante la nascita di figli, la posizione sociale altolocata, l’affetto sincero del marito, il ruolo di prima dama della famiglia Brentano che essa ricoprì, amata e rispettata (a parte certi dissapori coi cognati), pare non sia stata felice. Questa infelicità si tradusse, secondo Solomon, in una vera e propria nevrosi con irritabilità, malesseri vaghi, tensioni nervose, cefalee e somatizzazioni che la facevano stare malata per lunghi periodi. Dalla fine del 1809, prima per assistere il padre, e poi negli anni 1810-1812 per vendere le collezioni del padre da poco deceduto, si stabilì a Vienna con i figli e il marito, ove questo aprì una succursale della sua fiorente ditta.
Fu probabilmente in quel periodo che nacque il rapporto amoroso con Beethoven, che fece dono ad Antonie degli spartiti di alcune sue composizioni su cui scrisse una dedica. Nelle sue confidenze ad Otto Jahn, verso la fine della sua vita (come si legge in Thayer), Antonie disse che a Vienna, durante i suoi lunghi periodi di malattia, solo a Beethoven, col quale si “era stabilita una tenera amicizia“, era concesso di venire nelle sue stanze. “Veniva regolarmente, si sedeva al pianoforte in anticamera e suonava improvvisando; quando aveva finito di ‘raccontarle tutto e di darle conforto’ se ne andava allo stesso modo in cui era venuto, senza badare a nessuno“. E in altre lettere e confidenze di Antonie non poche sono le espressioni che tradiscono affettuosi sentimenti, ammirazione e venerazione verso Beethoven. Anche se, come dice Solomon, non è dato sapere quando questa venerazione si sia trasformata in amore.
Antonie Brentano dunque, prima condizione irrinunciabile per la sua identificazione, visse a Vienna, dal 1810 1l 1812, e ivi rimase in stretta relazione con Beethoven fino al 26 giugno 1812, data in cui Beethoven scrisse di suo pugno una dedica sul Trio in Si bemolle maggiore, per pianoforte, violino e violoncello WoO 39, per Maximiliane figlia decenne dei Brentano. E a Vienna, in data 26 giugno 1812, le era stato rilasciato un passaporto.
La seconda condizione irrinunciabile era poi che l’Amata Immortale fosse a Praga nei primi giorni di luglio 1812. Nell’elenco delle personalità giunte a Praga il 3 luglio, pubblicato sul Prager Oberpostamts-Zeitung, si legge “H.Brentano, Kaufmann, von Wien. woh. im rothe Haus” (Herr Brentano, mercante, da Vienna. Alloggiato alla locanda della Casa Rossa). Ecco un’ulteriore prova a favore dell’ipotesi di Solomon.
Terza condizione irrinunciabile era che la donna si trovasse a Karlsbad durante dal 6 luglio. E nel registro degli ospiti di Karlsbad si legge, al nr. 380, “Herr Franz Brentano, Banchiere di Francoforte, con moglie e figlia, 5 luglio”. Essi furono iscritti, il 6 luglio, nel registro della polizia, al nr. 609, con indirizzo 311 “Aug’ Gottes”. E nel registro vi è l’annotazione che il passaporto di Antonie era stato rilasciato a Vienna il 26 giugno 1812.
Altri elementi, secondo Solomon, sono a favore dell’ipotesi che l’Immortale Amata sia proprio Antonie Brentano. Dalla lettera si deduce che i due amanti avevano progettato di rivedersi presto. E Beethoven si recò a Karlsbad e, come dice il registro di polizia, dal 31 luglio alloggiò all’albergo “Aug’ Gottes”, lo stesso dei Brentano, ove tutti rimasero fino all’8 agosto, quando tutti si trasferirono a Franzensbad, dove alloggiarono allo “Zwei goldenen Löwe”. Da Franzensbad Beethoven tornò a Karlsbad e a Teplitz ai primi di settembre ove incontrò Amalie Sebald.
Altri fatti inducono Solomon a ritenere giusta la sua interpretazione. Nel dicembre 1811 Beethoven compose il lied An die Geliebte, WoO 140, dauna poesia di J.L. Stoll. Nell’angolo superiore destro della prima pagina dell’autografo, in una scrittura in passato non identificata, vi sono le seguenti parole: “Den 2th Maerz, 1812, mir von Author erbethen“ (A me offerto dall’autore il 2 marzo 1812). Questa nota, coma mostra l’esame delle lettere autografe di Antonie, è stata scritta da lei. La canzone fu pubblicata come Lied con accompagnamento di chitarra, un unico nella produzione di Beethoven, e Antonie suonava molto bene la chitarra. Inoltre tra le cose di Beethoven furono ritrovati due ritratti muliebri, due miniature su avorio. Uno fu subito identificato con quello di Giulietta Guicciardi; l’altro fu considerato un ritratto della contessa Erdödy. Ma successivi confronti eseguiti, attorno al 1930, con ritratti certi della contessa Erdödy, dimostrarono che la miniatura non poteva essere una sua raffigurazione. Confrontando poi la miniatura, oggi conservata alla Beethovenhaus di Bonn, con due ritratti certo autentici di Antonie Brentano, sembra che la miniatura rappresenti la stessa donna. Infine la maggior parte dei biografi di Beethoven pensa che la voce nr.8 dei suoi Appunti (vedi Beethovens persönliche Aufzeichnungen di A.Leitzmann), il secondo appunto della serie di annotazioni raccolte nell’oggi così detto Tagebuch, risalga proprio all’autunno 1812, e contenga un riferimento all’Immortale Amata: “Non avevi il diritto essere uomo, non per te stesso soltanto per gli altri: per te non c’è più felicità, solo in te stesso, nella tua arte. O Dio! Dammi la forza di vincere me stesso; niente deve più incatenarmi alla vita. In questa maniera tutto va in rovina con A”. La lettera “A” potrebbe essere l’iniziale di Antonia. E scrive Solomon, vi sono 5 donne cui potrebbe essere riferita questa iniziale: Amalie Sebald, Bettina von Arnim, Antonie Adamberger, Anna Marie Erdödy e Antonie Brentano. Ma né Amalie né Bettina risiedevano a Vienna ai tempi indicati; e la Adamberger e la Erdödy non furono ospiti di stazioni termali boeme quell’estate. Resta quindi solo Antonie Brentano. Altre annotazioni successive del Tagebuch si riferiscono a una misteriosa “T”: e Toni era il diminutivo che veniva usato comunemente per Antonia; e Beethoven lo usò alcune volte in sue lettere alla famiglia Brentano.
A conclusione di questa sua appassionata ricerca Solomon ha scritto: “Sebbene questa donna sia ben nota nella letteratura beethoveniana, quasi inspiegabilmente essa non è mai stata proposta come possibile destinataria della lettera all’Immortale Amata. Il suo nome è Antonie Brentano, nata Antonie von Birkenstock (1780-1869). Ad essa Beethoven dedicò le sue Trentatré variazioni su un valzer di Diabelli Op. 120. Le prove a suo favore sono talmente schiaccianti da poter affermare senza ombra di presunzione che l’enigma dell’Immortale Amata è stato ora risolto“.]
[Il carattere e i problemi dei rapporti amorosi di Beethoven sono stati riassunti in maniera straordinaria da Solomon; credo che le sue parole siano la migliore per chiudere questo capitolo sulla storia degli amori di Beethoven. Leggiamole]:“In tutte le passioni di Beethoven … dalla giovinezza a Bonn sino al 1810-1812 (epoca dell’amore per Antonie Brentano, la verosimile “Immortale Amata”), egli era stato respinto dalla donna amata, oppure si era ritirato aspettandosi un rifiuto. Magdalena Willmann lo aveva deriso definendolo “brutto e mezzo matto“; Giulietta Guicciardi gli aveva preferito come amante il frivolo Gallenberg; Marie Bigot aveva riferito al marito le sue advances; Julie von Vering aveva scelto von Breuning; la contessa Erdoedy, sebbene non fosse fra le donne da lui amate, aveva ferito i suoi sentimenti; Therese Malfatti non aveva corrisposto alle sue attenzioni; Bettina Brentano aveva civettato con lui dando adito alle sue speranze senza rivelargli di essere innamorata di Achim von Arnim e sul punto di sposarlo. E una contadinella, descritta da Grillparzer, preferiva i contadini al sommo compositore. Persino Josephine Deym aveva costretto Beethoven a trattenere le sue richieste appassionate, insistendo sulla spiritualità del loro rapporto, e poi si era rivolta al conte Wolkenstein. Nessun amante può essere tanto sistematicamente respinto senza avere facilitato i risultati negativi inconsciamente desiderati. Ciononostante l’ininterrotta serie di rifiuti – alcuni dei quali egli può avere persino considerati tradimenti – deve avere avuto effetti disastrosi sul suo orgoglio. Per Beethoven quindi, la relazione con l’“Immortale Amata“ rivestiva un significato miracoloso, perché Antonie Brentano era la prima (e per quanto ne sappiamo, l’unica) donna che lo accettava pienamente come uomo e che gli aveva concesso il suo amore, sfidando apparentemente il rischio di essere condannata dalla società per voler vivere con lui. Si stava quindi manifestando (per Beethoven) la possibilità di trasformare in realtà i propri coscienti e dichiarati desideri di matrimonio e di paternità. … Ma i Brentano partirono da Vienna probabilmente nel novembre 1812 e Antonie non ritornò mai più nella città dove era nata. … La natura di questa relazione amorosa non avrebbe più permesso a Beethoven di ritornare al proprio schema abituale di finzione amorosa. Dopo l’”Immortale Amata” non conosciamo alcuna ulteriore storia d’amore per tutto il resto della vita di Beethoven. … Durante gli ultimi anni dall’elenco degli amici di Beethoven sono del tutto assenti le donne.”
Solomon [b].