Pezzi scelti Del gran Ballo “Il Conte di Essex”
Espressamente composto pel R° Teatro alla Scala dal Signor Gaetano Gioja. Musica di diversi rinomati autori, Ridotti per forte- piano.
Espressamente composto pel R° Teatro alla Scala dal Signor Gaetano Gioja. Musica di diversi rinomati autori, Ridotti per forte- piano.
L’anno di nascita di Gaetano Gioia è incerto, collocabile, all’incirca, negli anni Sessanta del Settecento. Gioia nacque a Napoli da Antonio, eccellente ballerino e maestro, e da Anna Fiori (o Carbani) ed ebbe un fratello, Ferdinando, anch’egli danzatore e coreografo e principale riproduttore delle sue coreografie. Gaetano studiò ballo con Giuseppe Traffieri, coreografo e ballerino grottesco, con il quale iniziò la sua carriera presso il Teatro Regio di Torino. Gioia danzò nei principali teatri italiani lavorando con coreografi autoctoni e stranieri (come ad esempio il francese Sebastiano Gallet), avanzando rapidamente di rango (1787 S. Carlo di Napoli, primo ballerino di mezzo carattere; 1788-89 Regio di Torino, primo ballerino serio; 1791, Scala di Milano, primo ballerino serio assoluto).
Verso la fine degli anni Ottanta del Settecento, iniziò a lavorare anche come coreografo e, nel giugno del 1793, i suoi lavori inaugurarono il Teatro São Carlos di Lisbona. In seguito, Gioia fu presente alla Scala, fino al 1795, poi a Napoli (1795-1796), dove sposò la cantante Teresa de’ Caetani, dalla quale ebbe tre figli, quindi a Livorno, Torino, Firenze e Genova tra il ’97 e il ’99.
Dall’agosto 1800 al maggio 1802 lavorò a Vienna. L’esperienza viennese sancisce un momento di svolta nel percorso artistico di Gioia, sicuramente anche grazie all’incontro con Salvatore Viganò.
Da allora, lasciate le scene, si dedicò interamente alla coreografia. La sua produzione molto varia spazia dal ballo Nina pazza per amore (Torino, 1799), tratto da un’opéra-comique francese del 1786, di grande successo, e di cui Giovanni Paisiello realizzò una commedia per musica nel 1789, al ballo neoclassico Cesare in Egitto (Napoli 1807, San Carlo; Milano 1809, Scala), uno dei suoi lavori più rappresentati ed elogiati, in seguito ripreso più volte dal fratello Ferdinando.
Niobe, o sia la Vendetta di Latona (Firenze, 1815) è un altro ballo significativo di Gioia, esso si basa sulla contrapposizione tra la realtà umana e il mondo delle divinità olimpiche e si caratterizza per una complessa articolazione drammaturgica, grandiosi effetti scenografici d’ispirazione neoclassica, splendide danze e per l’attenzione particolare posta sugli usi e costumi antichi. Aspetto, quest’ultimo, molto caro a Gioia. Ne è testimonianza l’ampia corrispondenza tra il coreografo e Giulio Ferrario, bibliotecario direttore presso l’I.R. Biblioteca di Brera, nonché personalità di grande rilievo nella cultura milanese e lombarda del primo Ottocento che consigliò spesso anche Salvatore Viganò.
Negli anni che seguirono la Restaurazione, Gioia si concentrò maggiormente su episodi tratti dalla storia vera. Di questo periodo sono Gundeberga (1817), su musica di Gioachino Rossini, ispirato agli Annali d’Italia di Ludovico Muratori e alla Storia della Toscana del 1815, e il Conte di Essex (1818), su musica di Franz Joseph Haydn, Ludwig van Beethoven, Luigi Cherubini e Rossini, ballo fedelmente basato sulle vicende di Elisabetta d’Inghilterra.
In linea con le sensibilità romantiche del tempo, che cominciavano ad affiorare anche in molta produzione coreografica italiana, Gioia si orientò verso soggetti tratti da drammi e romanzi storici precorrendo con le sue scelte il teatro d’opera. Ne sono un esempio il ballo di ambientazione medievale, Gabriella di Vergy (Firenze, Pergola 1819), tratto da una tragedia di Dormont de Belloy del 1770, e Kenilworth (Scala, 1823), tratto dal romanzo di Walter Scott, due soggetti che in seguito furono scelti da Gaetano Donizetti per le sue opere.
Gioia tornò nel maggio 1824, scritturato per sei anni, al Teatro di S. Carlo di Napoli, dove presentò un progetto per l’introduzione di una scuola di mimica, da affiancare a quella di ballo, che avrebbe dovuto dirigere egli stesso.
Coreografo prolifico e molto efficiente sul piano produttivo, Gioia con i soggetti dei suoi balli abbracciava i vari generi del teatro, realizzando coreografie che si caratterizzavano per la disposizione pittorica dei molti interpreti impiegati e per la realizzazione di opere vive con la partecipazione attenta di tutte le parti coinvolte nella realizzazione dello spettacolo.
Buon violinista, componeva le sue danze in stretta relazione con la musica ed era in grado di riadattare brani musicali scelti fra le opere dei più celebri musicisti del tempo.
Benché i critici al tempo lo collocassero un gradino sotto Viganò, Gioia godeva, invece, d’un generale favore del pubblico italiano. Insieme al grande esponente del coreodramma, Gioia può dunque essere considerato come il propugnatore di una nuova concezione della danza teatrale italiana.
Fonte: http://bibliolmc.uniroma3.it/node/101
È questo l’ argomento del presente Ballo, le di cui tracce sono appoggiate interamente al vero; essendo tutti punti istorici e l’ andata del Conte
Arde Cecile d’invidia e di gelosia per gli onori, ed il favore prodigalo da Elisabetta ad Essex, ma raffinato né raggiri, simula per quello la più viva amicizia, tutto però osservando, onde cogliere occasione opportuna per rovinare il fortunato rivale. Ed una appunto gliene offre in quel punto la sorte. Dopo avere Essex presentati gli ostaggi alla Regina, s’avvede che in uno de’ medesimi si asconde la giovinetta Matilde la figlia del capo de’ ribelli Irlandesi, da esso segretamente sposata, che istruita dalla fama dell’ amore d’Elisabetta per il Conte, amante e gelosa, s’era ridotta in tal guisa a seguirlo insieme ad un suo fratello, celando allo sposo con pietosa frode un tal pericoloso divisamente. Non può trattenere il Conte la sua emozione e la sua dolce sorpresa, sebbene in vista di tanti spettatori: ma presto riavutosi, e giovandosi dell’abito virile, la cui è nascosta Matilde, giustifica agli occhi di tutti, e più d’ogni altro della stessa Regina, la forte ed improvvisa sua commozione, adducendo che quei due giovinetti fratelli sono a lui carissimi per la nobiltà della loto origine, e per le attenzioni ricevute dai loro genitori: e si ben copre questa felice menzogna, che interessatasi Elisabetta medesima a prò di que’ due, gli ammette nel numero de’ suoi Scudieri.
Dubbia però restando Elisabetta fra i due Giovinetti, viene a lei indicata Matilde dal ribaldo Cecile, e sopra di lei già si fissa lo sguardo geloso della Regnante; quando opportunamente ne la frastorna l’ arrivo del Conte, che trovando la sposa in tanto periglio, con dolci modi annunzia tutto aver egli disposto per l’ordinata festa: e qui vedi Elisabetta che scoprir tenta il vero, con desiderio di esser ingannata, e cercar di leggere nel volto del Conte, e giubilare sembrandole di trovarlo ancora amoroso, , e indispettirsi verso Cecile che sorprende in atto di esprimere amicizia ad Essex e là questo infelice sospettoso e tremante dello scioglimento, celar, il suo turbamento alla Regina e rassicurar alla sfuggita la sposa, e chieder ajuto al creduto amico ; e costui simulando con esso amicizia, e confermando ad Elisabetta il proprio zelo , e giubilando pel vicino trionfo; e la misera Matilde gemente, incerta, gelosa temer più di tutto l’ amore di Elisabetta, e la perdita dello sposo ; e il di lei fratello confuso, ed intento a sortire da si difficile posizione.
Tace ornai l’affetto d’ Elisabetta, e più non parla che l’offeso orgoglio dell’amante, ed il tradito interesse dello Stato. Sono arrestati i due figli del ribelle Irlandese; ed il Conte stesso consegnato alle Guardie aspettar deve il suo destino dalla decisione del Parlamento , cui l’irritata Sovrana vuol che sia sull’ istante commesso il pronto esame di tanto tradimento.
Appresso ma non avvilito da tante sciagure aspetta il Conte intrepidamente di esser condotto alla morte. Quando si mostra Elisabetta dell’ alto della prigione seco avendo Matilde ed ivi lasciatala per poco insieme a Williams, Si presenta sii inaspettatamente al Conte , cui generosamente arreca l’annuzio della salvezza. Crede il Conte che sia questo un nuovo tentativo per istaccarlo da Matilde, e rinunzia senza di lei ad ogni grazia ed alla vita stessa: ma la Regina dolcemente rampognandolo, lo riempie ad un tempo di confusione, e di allegrezza partecipandogli che anche la sposa gli è restituita: ed essa stessa vuol riporla in quell’istante medesimo fra le di lui braccia. Cecile si è intanto introdotto nel carcere, corrompendone la guardia a forza d’oro; e tutto avendo ascoltato, e veggendo ornai distrutta l’infernale sua macchina, coglie il momento che la Regina si reca a chiamar Matilde, per investir il Conte con un pugnale alle spalle : ma a un grido della Regina medesima avvertito il Conte del periglio, fieramente si difende dall’ assalitore, e giunge ad atterrarlo.
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