WoO 65 Variazioni (24) in re maggiore sul tema Venni amore di Righini

Thema – Allegretto

WoO 65 Variazioni (24) in re maggiore sul tema “Venni amore” di Righini, dedicate alla contessa Hatzfeld, 1801, pubblicate a Vienna, Traeg, 1802. GA. numero 178 (serie 17/17) – Bruers 177- KH.(WoO)65 – L.IV, pagina 320/13 – Nottebohm pagina 154 – Peters 24 – Schunemann pagine 217/24 Thayer 11.

Della prima, introvabile edizione di questa opera, apparsa nel 1791, abbiamo dato notizia a suo tempo. Non è possibile sapere se e quanto essa sia stata diversa dalla presente. Si è pensato a rimaneggiamenti considerevoli; ma la questione è rimasta insoluta per l’impossibilità del confronto. (Riguardo a quest’ affermazione di Biamonti, ora superata, rimandiamo al nostro articolo dedicato: Hess 55 Variazioni (24) in re maggiore sul tema “Venni amore” di Righini – un enigma risolto) Certo, se differenze notevoli non vi sono state, queste Variazioni debbono considerarsi come una delle più importanti opere pianistiche composte da Beethoven nel periodo bonnense. (In realtà una copia della supposta prima edizione è stata ritrovata recentemente – 1984 –  e non presenta alcuna differenza sostanziale da quelle successive. Vedere il frontespizio a lato ed i due esempi in basso – Nota dei redattori). Il tema consta di due parti, ciascuna su due frasette di quattro battute, in note staccate, d’una certa leggera leziosaggine. Nella prima variazione la melodia si fa più fluida e si sviluppa in un movimento di piccole frasi in contrappunto che aumentano la consistenza e l’interesse dell’insieme. La seconda ricalca via via su tutte le note del decorso tematico un breve disegno ritmico appoggiato a pieni accordi staccati in contrattempo; la terza vi intreccia un movimento rapido di scale.

Caratteristica della quarta è la frase trillata che si accompagna alla melodia principale; nella quinta dominano le ottave, in una figurazione a terzine della mano destra, sopra l’elementare disegno del basso. Nella sesta il tema è trattato in un movimento di crome in terze a cui si alterna nella seconda parte, con maggior senso di varietà, una figura sincopata. La settima torna al procedimento della ripetizione di un disegno stereotipo, svolto qui in strette imitazioni. Scorrevole e spigliata è la melodia dell’ottava, e resa anche qui più agile, nella seconda parte, dal fraseggio sincopato della melodia. La nona ha carattere dinamico, con le sue scale cromatiche con­cluse ogni volta dalla percussione di accordi staccati fortissimo. Nell’andamento saltellante della prima parte della decima il tema è come incanalato fra due note pedali all’acuto e al grave; la seconda parte poggia invece su un disegno legato che passa alternativamente dal registro superiore all’inferiore dileguando in pianissimo. Nella undicesima l’uniformità del pesante ritmo di marcia a pieni accordi è temperata dalle alternative di registro che creano una certa varietà di colore.

Con le due variazioni che seguono – le centrali dell’opera – entriamo nel campo, sempre tanto espressivo in Beethoven, del modo minore; la dodicesima, una patetica melodia accompagnata, si richiama, anche per la tonalità (re), ad altre precedenti e più sviluppate pagine del maestro, particolarmente agli Adagi della Serenata op. 8 per trio d’archi e delle Sonate per piano forte op. 10 n. 3 e op. 28; la tredicesima ci riporta in modo più impegnativo alle immagini tempestose già affiorate nella nona, con il suo movimento di scale in tripla ottava, punteggiato nel basso dallo staccato del tema nella prima parte, e le brevi alternative cupo ­ imploranti della seconda. Alla serenità del ritorno in maggiore della quattordicesima variazione si unisce l’interesse di un nuovo trattamento del tema: ogni periodo infatti è presentato due volte in forme e fisionomie espressive differenti: prima nel movimento ordinario 2/4 d’una facile scorrevolezza, poi in un Adagio 3/4 che sembra rispondergli con un certo spirito di gravità tra bonaria e caricaturale.

Come un brillante studio si presenta la quindicesima, con il tema avviluppato dal movimento legato in terzine, ascendente e discendente. Nella sedicesima il costante spostamento degli accenti melodici ha indotto il Muller-Blattau a pensare a Brahms e a Schumann. La diciassettesima assume, in virtù del movimento armonico e delle cadenze calando e rallentando, pianissimo (la seconda soprattutto, dopo la pausa di un inatteso punto coronato), un qualche aspetto di mistero. Più dolce la diciottesima, il cui leggero volteggio è concluso al termine di ogni periodo dalla perentorietà di una percussione in ottave, forte. La diciannovesima impiega ancora le ottave con una figurazione modellata in 6/8 e condotta a dialogo Secondo una regolare alternativa tra la parte superiore e il basso. Più semplice, scherzando, la ventesima interessa per il carattere timbrico e strumentale e fa pensare ad un qualche tipico effetto di corni. La ventunesima dà al tema una nuova fisionomia: nella prima parte con la differente condotta delle armonie, nella seconda con le imitazioni discendenti che al Muller-Blattau richiamano un procedimento delle ultime Bagattelle.

La ventiduesima è impiantata, come la undicesima, su un ritmo di marcia, senza però l’incisività e la compattezza ritmica e armonica di quella, e snellita dal movimento del basso. La ventitreesima (Adagio, 3/4) costituisce, si può dire, il centro di gravità dell’opera per il fraseggio ampio e diffuso (come nelle variazioni finali delle opere 34 e 35) dove affiora a tratti un respiro melodico che ne avvicina fisionomicamente qualche punto all’Andante (amabile, nello stesso tono di re maggiore, del Trio 0pus 97 per pianoforte, violino e violoncello; ed induce a considerare anche le più adorne articolazioni introdotte nella ripetizione di ciascuna delle due parti come dirette al progressivo conseguimento di una più larga espressività. La ventiquattresima (Allegro), in disegni di crome legate a gruppi di due, torna alla semplicità del tema originario: peraltro con una risoluzione alla tonica (invece della sospensione alla dominante) nella fine della prima parte e un più libero svolgimento della seconda.

Quello che segue (Un poco meno allegro) ha fisionomia piuttosto di improvvisazione, con divagazioni tonali su frammenti del tema (procedimento non nuovo, come si è già avuto occasione di notare anche in altre serie di variazioni di Beethoven) che soltanto in ultimo tornano al fondamentale re maggiore come in una vivace stretta (Allegro) precipitando poi in un Assai presto. Alla fine il tema fissandosi nella figura di corni già apparsa nella ventesima, rallentando gradatamente il suo ritmo e discendendo di ottava in ottava (seguito dal movimento che già lo accompagnava) porta alla conclusione nelle quinte gravi re -la (sintesi del suo impianto melodico tonale) a cui poi si aggiunge nella parte superiore il fa diesis, definendo l’accordo.

Opera che per il suo valore sarebbe dovuta a pieno titolo comparire nel catalogo ufficiale beethoveniano. Composta nella primavera 1791, fu pubblicata due volte, la prima a metà 1791 a Mainz dall’editore Gotz, la seconda a Vienna dall’editore Traeg nel 1802. Il fatto che della pubblicazione del 1791 non fosse stata trovata fino a poco tempo fa l’edizione, ha dato adito all’incertezza che fra questa e quella seguente Beethoven avesse rimesso mano alla partitura, creando così una seconda stesura come fece per altre pagine musicali. Per questo motivo Biamonti numerò le Variazioni nel suo catalogo due volte, datando le prime alla primavera del 1791 e le seconde al 1801. Lo stesso motivo ha fatto si che Hess, per distinguerle da quelle contenute dal catalogo Kinshy-Halm, catalogò la prima presunta stesura col numero 55. I sostenitori dell’ipotesi dell’esistenza di due versioni affermavano che, dato il notevole livello tecnico raggiunto da Beethoven in queste pagine, fosse abbastanza improbabile che le avesse potute comporre già così nel 1791. Con il ritrovamento nel 1984 della prima edizione si è invece potuto constatare che sono assolutamente uguali. Dunque nel 1791, le capacità compositive del genio di Bonn, avevano già raggiunto un livello di qualità veramente alta anche se, come vedremo, rimarranno in quel periodo, le uniche Variazioni di questo grande spessore. Piero Rattalino così scrive: «(…) Dal grazioso e schematico tema di Righini (…) Beethoven aveva infatti sviluppato un caleidoscopio di variazioni dal carattere, tanto multiforme quanto inventivo e geniale, non tributario della moda convenzionale del momento e con un finale pieno di sorprese che svanisce nel nulla, un po’ come l’ultimo numero dei Papillons di Schumman.(…)».[1] Con queste Variazioni, Beethoven dimostra che già nel 1791 fu: «(…) in grado di inanellare ventiquattro variazioni inventando uno schema tutto suo e saltando dal sentimentale all’elegiaco al patetico all’umoristico al grottesco senza disperdere e frammentare la forma ma al contrario, conseguendo una coerenza e una consequenzialità saldissime.(…)».[2]

Furono dedicate alla contessa Maria Anna Hortensia von Hatzfed e, a tal proposito Luigi Della Croce dà per «(…) quasi certo che sia stato Neefe a consigliare a Beethoven la scelta del tema, avendo egli pure dedicato poco prima, alla contessa Hatzfeld, illuminata patrona dei musicisti di Bonn, una serie di variazioni sulla marcia dei sacerdoti dal Flauto magico di Mozart.(…)».[3] Passando poi all’analisi delle variazioni osserva che: «(…) Già nella prima variazione Beethoven trasforma l’amabile melodia pausata in un canto dalle inflessioni melodiche che diviene più pungente nella terza, a note ribattute. (…) le ultime due si configurano come due movimenti di Sonata in miniatura (…)»[4]

[1]Piero Rattalino: Guida alla musica pianistica. Zecchini editore

[2] Piero Rattalino: Guida alla musica pianistica. Zecchini editore

[3] Luigi Della Croce: Ludwig van Beethoven. La musica pianistica e da camera. L’Epos editore

[4] Luigi Della Croce: Ludwig van Beethoven. La musica pianistica e da camera. L’Epos editore

XII ARIETTE ITALIANE

Composte e Dedicate a sua Altezza Reale la Principessa Federica di Prussia. Dal Umilißimo e Devotißimo Servitore Vincenzo Righini Direttore della Musica e Maestro di Capella di S. A. E. di Magonza

Il testo:
Venni, Amore, nel tuo regno,
ma compagno del timor,
m’avean detto, che lo sdegno
s’ incontrava ed il rigor.
Dolce sguardo, dolce riso,
nobil cor, gentil virtù,
bella man, bel sen, bel riso
fan bramar la servitù !
Gran sospiri, gran tormento
costa, è vero, il tuo gioir!
Ma poi val questo momento
mille giorni di martir!
Grazie a  Carlo Vitali

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Una nuova vita per le opere sconosciute di Ludwig van Beethoven: Un’ esplorazione artistica a cura del pianista maestro Giuseppe Bruno

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