Opus 135 Quartetto in fa maggiore per archi
I) Allegretto – II) Vivace – III) Assai lento, cantante e tranquillo – IV) Der schwer gefaßte Entschluß (Es muß sein?) Grave, ma non troppo tratto
Opus 135 Quartetto in fa maggiore per archi, op. 135, dedicato a J. N. Wolfmayer,1 luglio-ottobre 1826, pubblicato a Berlino e Parigi, Schlesinger (partitura e parti staccate), settembre 1827. GA. n. 52 (serie 6/16) – B. 135 – KH. 135 – L. IV, p. 303 – N. 135 – T. 262.
Il manoscritto originale della partitura del primo tempo si trova a Vienna (raccolta Wittgenstein); quello del secondo è andato disperso; quello del terzo è conservato nella Biblioteca Reale di Bruxelles, quel del quarto nella Deutsche Staatsbibliothek di Berlino. Abbozzi a Berlino e nella biblioteca del conservatorio di Parigi. Per quanto non sia impossibile pensare che tali abbozzi, in tutto o in parte, risalgano agli ultimi mesi del 1825, quando il Quartetto in si bemolle maggiore op. 130 (l’ultimo dei tre composti da Beethoven per il principe Galitzin) era prossimo alla fine, il lavoro nel suo complesso appartiene all’estate del 1826 ed è dato per compiuto da una lettera del maestro all’editore Haslinger in data 13 ottobre.
Come scrive il Thayer-Riemann, l’opera sarebbe stata in origine concepita in tre tempi, cioè senza l’Adagio. Il primo tempo (Allegretto) è nel complesso delle sue varie parti di un tipo nuovo (come espressione), d’un carattere che si potrebbe chiamare «umoristico con grazia».
Certo non troviamo qui la profondità né l’ampiezza espressiva dei quartetti precedenti. C’è un tema che all’inizio potrebbe essere chiamato a simboleggiare — analogamente all’altro (del Finale) che riporta le parole: “Muss es sein?” — una qualche interrogazione o proposizione tragica, o appello al destino o che altro si voglia immaginare per renderne il carattere grave, pensoso; e invece tutto si risolve nel giuoco di motivi leggeri, polifonicamente delicato: anche nella ripresa, ove tuttavia qualche elemento si fa più consistente, qualche accenno emotivo si amplifica e qualche voce interiettiva si rende più drammatica.
Il Vivace incomincia con una frase ritmica dei bassi integrata dai contrattempi dei violini in piano e pianissimo e poi, dopo un improvviso, strano richiamo in mi bemolle, forte (ricordiamo il subitaneo do diesis succedente a un do naturale, con la stessa alternativa di colorito, nel Finale dell’Ottava sinfonia), ripetuta con inversione di parti, sviluppata con alternative di crescendo, forte, diminuendo fino al pianissimo. Questo sviluppo continua anche nelle parti successive, poiché, per quanto i temi possano apparire a prima vista differenziati, pure una sola è l’idea musicale che si evolve attraverso le varie deduzioni.
Dalla formula involuta sopra accennata spicca una figura ritmica di lancio in cinque note, che dà l’abbrivo e la guida ad una corsa ripetutamente ascendente, attraverso i toni di sol e di la, per spiegarsi infine quasi orgiasticamente nel ritmo ribattuto per 47 misure, sulle stesse cinque note, dai tre strumenti inferiori in ottava, mentre il primo violino insiste in una figura danzante svolgendola freneticamente. In questo ultimo episodio, in cui si scioglie, per così dire, il nodo concettuale di tutto il tempo, passiamo dal fortissimo, con sformati sui primi tempi di ogni battuta, al forte e poi, verso la fine, diminuendo al piano, sempre più piano, pianissimo, ppp, per ritornare, modulando, alla ripetizione della prima parte.
Dell’entrata della melodia del terzo tempo sopra una armonia che prende gradatamente consistenza si hanno altri precedenti esempi, di pari bellezza, nei tempi lenti del Quartetto op. 127 e della Nona Sinfonia, con la differenza che ivi si tratta della formazione graduale di un accordo di cadenza, dalla risoluzione del quale, con l’entrata della melodia appunto, si forma l’armonia piena e pacifica del tono; mentre qui l’armonia, che si viene spiegando fin dal principio, è quella di un accordo perfetto (re bemolle maggiore), ciò che aumenta il carattere di immobilità, di quiete assoluta della posizione melodica.
Questa si afferma così cantante e tranquilla, di una contenuta dolcezza; a mano a mano si fa più mossa con il suo cromatismo e gli sformati alternati ai piano. Un episodio più lento in do diesis minore, esitante, a frasi brevi e sussultanti, che ci ricorda l’Arioso dolente della Sonata per pianoforte op. 110, interrompe il corso della prima effusione. La quale poi ritorna più animata nel suo movimento polifonico per frammentarsi infine nel fraseggio spezzato del primo violino, sostenuto dai tre strumenti inferiori con una grande delicatezza, e spegnersi gradatamente e ritardando. Al Finale Beethoven ha apposto il titolo: “Der schrnr gefasste Entschluss” (La risoluzione presa con difficoltà), spiegandolo nelle parole: “Muss es sein? Es muss sein” (Deve essere? Sì, deve essere): annotate sotto i due temi rispettivamente del Grave, che serve di introduzione dell’Allegro, che segue immediatamente. Si è molto discusso, forse troppo, sul significato di tali parole e sul loro rapporto con la musica.
Il carattere di quest’ultima e il contrasto stesso fra la gravità della proposizione (che, considerata in sé e per sé, potrebbe, come si è accennato in principio, prendersi per una tragica interrogazione al destino; D’Indy nota la somiglianza del tema grave con quello fondamentale della Sinfonia di Franck) e la leggerezza della risposta può far supporre qualche intenzione scherzosa. Le parole e la musica del motto appartengono al canone “Es muss sein!” di cui al Biamonti numero 834. Il motto potrebbe anche essere messo in relazione con una lettera del 30 ottobre 1826, in cui Beethoven, inviando il quartetto ai banchieri Tendler e Manstein (per la consegna all’editore Schlesinger) chiede il sollecito pagamento dell’onorario pattuito di 80 ducati.
Il maestro volle forse fare la caricatura musicale di qualcuna di quelle piccole, fastidiose miserie che tante volte lo tormentavano distogliendolo dall’alto lavoro della creazione. Il modo con cui il tempo è introdotto, il fatto stesso delle ripetizioni di questa introduzione nel mezzo di esso, e così pure il carattere delle risposte leggere, come si è detto, in contrapposizione con la domanda grave, ci richiamano un altro Finale, quello della malinconia nel Quartetto op. 18 n. 6; ma vi sono in mezzo ventisei anni di vita e d’arte: il contrasto, sotto l’apparente aspetto dello scherzo, è qui più fine e pensoso ed anche forse più malinconico.
E non aveva del resto Beethoven, anche pochi anni prima, incastrato a forza il tema semiserio del Don Giovanni mozartiano: “Notte e giorno faticar” nella ventiduesima variazione sul valzer di Diabelli, come una stizzosa parodia della sua tribolata vita quotidiana? Lo Schering trova la prima ispirazione del Quartetto in alcune scene del Faust di Goethe. Primo tempo: Mefistofele e il discepolo — Secondo tempo: La cantina di Auerbach — Terzo tempo: Monologo di Faust nella camera di Margherita — Quarto tempo-. Faust e Margherita nel giardino.
[Da Biamonti Giovanni – Catalogo cronologico e tematico delle opere di Beethoven comprese quelle inedite e gli abbozzi non utilizzati, Torino, ILTE 1968]
Titolo ufficiale: Opus 135 Quartett (F-dur) für zwei Violinen, Viola und Violoncello Widmung: Johann Nepomuk Wolfmayer NGA VI/5 AGA 52 = Serie 6/16
Creazione e pubblicazione: abbozzato da luglio a ottobre 1826 circa e secondo la stessa dichiarazione di Beethoven „bereits vollendet“ il 13 ottobre. Sulle parti autografe che compilò subito dopo aver completato la partitura, annotò: „Neuestes quartett von L. v. Beethoven gneixendorf am 30ten Oktober 1826“. In questa data o qualche giorno dopo, Johann van Beethoven consegnò il progetto per l’ incisore a Tendier & Manstein perché lo inoltrasse a Maurice Schlesinger a Parigi. Nell’agosto 1827 Adolph Martin Schlesinger pubblicò l’edizione originale di Parigi in parti, seguita in autunno dall’edizione berlinese (in partitura e parti). Le prime idee per l’op. 135 Beethoven furono scritte nell’estate del 1826, quando stava ancora scrivendo la partitura autografa dell’op. 131. Durante l’elaborazione del nuovo quartetto attinse anche a materiale che era stato pensato per l’op. 131: ad esempio utilizzò il tema di un postludio non utilizzato per il settimo movimento del precedente. Alla fine del settembre 1826 Mathias Artaria chiese al compositore: „Sie haben ja ein neues kleines Quartett fertig?“. Ma Beethoven probabilmente completò la composizione solo durante il suo soggiorno con Johann van Beethoven a Gneixendorf all’inizio del mese succesivo. Il 13 ottobre disse a Tobias Haslinger a Vienna: „[Das] Quartett für Schlesinger ist bereits vollendet, nur weiß ich [noc]h nicht auf welchem Wege ich es Ihnen am sichersten senden soll, damit Sie die Güte haben, es bey Tendier u. Manstein abzugeben, u. auch das Geld dafür in Empfang zu nehmen“ (BGA 2221). In una lettera ad Adolph Martin Schlesinger a Berlino lo stesso giorno è inoltre scritto: „Das Quartett ist vollendet, aber noch nicht ganz copirt, wird aber in wenigen Tagen abgegeben werden können“ (BGA 2222).
Poiché Beethoven non poteva ricorrere ai suoi copisti a Gneixendorf, fece lui stesso la copia in parti. Secondo l’editore, in una lettera di Beethoven datata 30 ottobre, che Schlesinger dice essere stata bruciata e che era allegata alla copia per l’ incisore, avrebbe confessato: „Sehen Sie, was ich für ein unglücklicher Mensch bin, nicht nur, dass es was schweres gewesen es zu schreiben, weil ich an etwas anderes viel grösseres dachte, und es nur schrieb, weil ich es Ihnen versprochen und Geld brauchte und dass es mir hart ankam können Sie aus dem es muss sein …. entziffern, aber nun kommt noch dazu, dass ich wünschte es Ihnen in Stimmen der Deutlichkeit für den Stich halber zu schicken und in ganz Mödlingen [!] finde ich keinen Kopisten, und da habe ich es selbst kopiren Müssen, das war einmahl ein sauber Stück Arbeit! Uf es ist geschehen. Amen“ (BGA 2224). Non è ancora possibile verificare se Beethoven abbia effettivamente trovato la composizione dell’ultimo movimento così difficile come riportato da Schlesinger. Il motto dell’ultimo movimento ha probabilmente le sue radici in un’esecuzione che fu pianificata del quartetto op.130 (con op.133) con Ignaz Anton Aloys Dembscher, che chiese le parti a Beethoven e dovette affrontare una richiesta di denaro da parte del compositore.
Karl Holz trasmise la risposta di Beethoven: „Dem Dembscher habe ich das Billett gegeben; er lachte recht, und fragte, ob es seyn muß?“ (BKh 10 p. 63 dalla fine di luglio 1826). Beethoven inviò quindi a Dembscher una lettera che presumibilmente conteneva anche il canone WoO 196 “Es muss sein” (BGA 2174). Riprese questo motivo per il quarto movimento dell’op. 135. Il collegamento stabilito da Anton Schindler con la governante Barbara Holzmann, che lavorò per Beethoven solo dalla fine del 1826, è fittizio. Rainer Cadenbach sottolinea che Beethoven potrebbe aver progettato il quartetto come il primo di una nuova serie. In un taccuino di conversazione della prima settimana di luglio 1826, Karl Holz annotò in relazione all’op. 135: „Das wäre dann das 3tt in F“, „In D mol ist noch keines.“ e „Es ist doch sonderbar, daß unter den vielen Quartetten Haydns keines in A mol ist.“. Beethoven apparentemente ricordava di aver aperto la sua serie di quartetti op.18 e op.59 con un quartetto in fa maggiore. Cadenbach vede nella scelta di questa tonalità e nella rottura stilistica con il precedente quartetto op.131 in do diesis minore un possibile indizio di un nuovo inizio: sarebbe da considerare un collegamento con i quattro “tardi” quartetti che lo hanno preceduto – che notoriamente sono ciclicamente interconnessi”.
Per quanto riguarda il numero d’opera: l’edizione parigina di Maurice Schlesinger porta il numero d’opera errato 134, che era già stato assegnato nel maggio 1827 per l’arrangiamento a quattro mani della Grande Fuga.
Dedica: Johann Nepomuk Wolfmayer (1768-1841), commerciante di stoffe a Vienna, insieme ad Alois Prigel proprietario della casa commerciale “Johann Wolfmayer & Comp.” a Haarmarkt n. 639. Wolfmayer era un appassionato di musica e un particolare ammiratore di Beethoven . Nel settembre 1825 Karl Holz riferì al compositore di una prova del quartetto op.132 „Wolfmayer war auch dabey; er hat beym Adagio geweint wie ein Kind“. Nel 1814 Beethoven diede a Wolfmayer il suo indirizzo postale (BGA 732, poscritto). Il 9 aprile 1818 ordinò a Beethoven un requiem per un compenso garantito di 100 ducati, che non fu eseguito (BGA 1252). Wolfmayer era originariamente il dedicatario dell’op. 131. „Das würde sein glüklichster Augenblick seyn“, riferì Ignaz Schuppanzigh a Beethoven nel febbraio 1827 (BKh 11 p. 220). Il quartetto fu poi dedicato a Freiherr von Stutterheim e Wolfmayer ricevette la dedica dell’op. 135. L’editore fu informato della dedica solo dopo la morte di Beethoven da parte di Anton Schindler (BGA 2292). Wolfmayer era uno dei tedofori al funerale di Beethoven. All’asta del patrimonio di Beethoven nel novembre 1827, Wolfmayer acquistò i manoscritti originali delle opere 48, 83 e 128, di WoO 129 e „ein Stük einer Sonate fürs Pianof und Flöte od Violin“. Prima esecuzione in un „Privat-Unterhaltung“ del violoncellista Joseph Linke nella Musikverein Hall di Vienna il 23 marzo 1828 a cura dello Schuppanzigh Quartet.
Gli abbozzi saranno trattati in un articolo appositamente creato per il Centro Ricerche Musicali www.lvbeethoven.it
Gli esempi musicali in MIDI di questa pagina sono curati da Pierre-Jean Chenevez. Chi volesse consultare o richiedere questi file, può contattare l’ autore tramite il nostro modulo di contatto.