Opus 130 Quartetto in si bemolle maggiore
I) Adagio ma non troppo – II) Presto – III) Andante con moto ma non troppo. – IV) Alla danza tedesca, Allegro assai -V) Cavatina, Adagio molto espressivo -VI) Finale, Allegro
Opus 130 Quartetto in si bemolle maggiore (con fuga finale), per archi, op. 130, dedicato al principe Nicolas Galitzin, agosto-novembre 1825, pubblicato a Vienna (col finale definitivo in sostituzione della fuga), Artaria, maggio 1827. GA. n. 49 (serie 6/13) – B. 130 – KH. 130 – L. IV, p. 302 – N. 130 – T. 255.
Il manoscritto originale, unico completo, è andato disperso. Ne esistono soltanto vari ed ampi frammenti: del primo tempo (Adagio-Allegro) nella Deutsche Staatsbibliothek di Berlino; del secondo nella Washington Library of Congress; del terzo nella biblioteca del conservatorio di musica di Parigi; del quinto e del sesto nella Deutsche Staatsbibliothek di Berlino. Il quarto, già in possesso di una famiglia Peczek di Aussig, è oggi disperso. Abbozzi in Nottebohm e in De Roda. E’ questo in ordine di tempo il terzo ed ultimo dei quartetti composti da Beethoven per il principe Galitzin.
La musica non ha l’anelito del Quartetto in la minore (op. 132), né l’abundantia cordis di quello in do diesis minore (op. 131), ma rivela un fine lavoro di fantasia nella tessitura tematica e nella aerata struttura polifonica. L’omogeneità dello spirito animatore infonde nella varietà dei sei movimenti il senso di una rara unità concettuale e musicale. Il contrasto che nel primo tempo si crea fra la gravità dell’Adagio non troppo e la leggerezza dell’Allegro rappresenta un quid medium tra l’intensità espressiva dei primi tempi dei Quartetti op. 127 e op. 132 e l’umorismo dell’op. 135.
La complessa costituzione dell’Allegro (figurazione di movimento del primo violino su quella ritmica del secondo; tema collaterale derivato da una trasformazione in senso espressivo del primo) si oppone reiteratamente al principio grave, che torna a riaffacciarsi più volte. Le compenetrazioni tematiche danno luogo a modificazioni ed intrecci diversi di tutti i suddetti elementi, che nell’avvio alla ripresa appaiono combinati insieme e nella conclusione vengono pacificamente composti. E’ da notare la figurazione terminale della prima parte (che darà lo spunto al Meno mosso e moderato del quarto tempo: Fuga): uno di quei fiori di romantico profumo nel clima dell’approfondimento della forma espressiva, che ha suggerito al De Marliave un riferimento schumanniano. Il secondo tempo (Presto), proietta nel cerchio di luce temperata, nel quale prevalentemente il Quartetto si svolge, un’ombra romantica; visioni di coboldi in ridda sfrenata, hanno scritto lo Helm e poi il De Marliave; e lo Schering in una delle sue immaginose ed arbitrarie esegesi, facendo derivare tutto il Quartetto dal Sogno d’una notte di mezza estate, vi vede espresso il folleggiare di Puck.
Il terzo tempo: si sviluppa in una atmosfera cristallina, sterilizzata, potremmo dire, da ogni perturbazione passionale; un fine frastaglio polifonico avvolge il suo periodare a brevissime frasi la cui reiterata terminazione in tronco si potrebbe paragonare ad una mossa replicata ad intervalli con una certa ostinazione quasi per chiudere l’adito ad ogni effusione maggiore.
È forse questo il tempo in cui riesce più difficile trovare altro significato che non sia quello di giuoco musicale puro e semplice. Non certo arido, però, guardato da un punto di vista superiore. Secondo il Rolland, Beethoven avrebbe voluto certamente « trattare scherzando delle melodie d’una tenerezza melanconica spesso commovente ». Il quarto tempo (Alla danza tedesca), è una delle tante ispirazioni attinte da Beethoven alle danze viennesi da lui ascoltate (prima che la sordità glielo impedisse) e vedute nei ritrovi del Prater; forse ancora più gustate in seno a quelle comitive di suonatori che le eseguivano nei ritrovi campestri e per i quali egli scrisse anche, pare, qualche piccola pagina.
Negli ultimi anni soprattutto Beethoven ricorre a queste fonti popolaresche nella loro forma più genuina, talvolta forzandone qualche elemento tipico, talaltra ostinandosi in certi ritmi, come a sfogarvi una volontà di gioia forzata. Ma nel caso presente si tratta di una visione gentile e serena. Una sorprendente somiglianza notata dal Torchi (La musica strumentale italiana dei secoli XVI, XVII e XVIII, in Rivista Musicale Italiana, 1900, fase. II, pag. 249) esiste fra lo spunto di questo tema e quello del Minuetto del Primo Quartetto di Ferdinando Bertoni.
La Cavatina, a quanto ci è stato tramandato, era una delle pagine che Beethoven aveva più care. Il titolo accenna ad una vocalità e quindi ad una volontà di espressione più umana e parlante, in un carattere che si potrebbe definire « sobriamente — o riservatamente — inquieto ». La melodia vi ha varietà, libertà, modernità di aspetti, se la si confronta con i più comuni tipi del periodare cantabile beethoveniano. Alcuni atteggiamenti e le forme di eco o di ritornello delle tre voci inferiori al canto del violino richiamano un procedimento dell’Adagio della Nona Sinfonia. Da notare la sottigliezza elegante della trama polifonica, subordinata al risalto dell’elemento melodico principale e la delicatezza della conclusione.
Il Finale che il quartetto ha attualmente non è quello originariamente pensato e scritto da Beethoven a conclusione dell’opera, cioè la Grande Fuga, pubblicata poi a parte dall’editore Artaria nel maggio 1827 con dedica all’arciduca Rodolfo d’Austria (GA. n. 53, serie 6/17 – B. 133 – KH. 133 – L. IV, pag. 303 – N. 133 – T. 256). Fu consigliato a Beethoven di sostituire questa fuga con un pezzo più leggero, ma si può ben pensare la poderosa pagina come ideologicamente connessa con l’insieme organico, fantastico e delicato a cui era stata destinata originariamente. Naturalmente senza fare violenza alla tipica forma di musica pura che la governa; per quanto Beethoven, aggiungendo la frase “tantot libre tantot recherchée”, abbia voluto sanzionare gli estremi di una licenza spregiudicata di artista superiore e di una disciplina austera di artefice: fantasia e regola unite in una sfida insieme ai troppo dotti e ai troppo romantici. « La fuga beethoveniana » ha scritto il D’Indy, « è notevolmente inferiore a quella di Bach, dal punto di vista della plasticità di scrittura e dell’equilibrio architettonico, ma possiede, nonostante questa inferiorità, anzi forse in ragione di essa, qualche cosa di più umano: l’espressione drammatica ».
Per quanto riguarda la Fuga in oggetto, si può pensare, riferendola al quartetto, ad una energica affermazione di vita dopo tanti episodi di sogno: la vita di un potente volitivo che si vendica dei momenti, pure tanto suggestivi e profondi, di dolce abbandono. Una breve introduzione o Overtura, come la chiama lo stesso Beethoven, espone il tema principale nelle sue varie forme: la prima « simile ad un colonnato massiccio che sostiene il portico », dice il Rolland (A); poi un’altra in valori più brevi con un ritmo balzante (B); poi un movimento più largo (Meno mosso e moderato) (C) accompagnato da una fantasiosa figura di semicrome, dal quale si svilupperà la seconda fuga; infine (Allegro) una figurazione di crome ripetute e legate. Poi si inizia la prima fuga, basata per altro su un tema differente, impetuoso, martellato, a cui il tema principale, nella forma dell’Allegro suddetto, fa soltanto da controsoggetto, restando sempre sottoposto ad esso durante il lungo svolgimento. Un cambiamento di tempo e di tono (Meno mosso e moderato, re bemolle maggiore) pone termine a questa fuga con l’entrata e lo sviluppo della figura di semicrome, la quale porta nel quadro finora tanto violento una nota di poetica fantasia, mentre sotto di essa prende a svolgersi, in principio senza un particolare rilievo, il tema principale nella forma (C).
Ma tutto ciò non è che il principio della seconda fuga (Allegro molto e con brio, in si bemolle), questa volta con il tema principale nella forma (B) come soggetto. Il tema della prima fuga sembra momentaneamente dimenticato, ma infine torna anch’esso a riaffacciarsi e a riunirsi variamente agli altri. Come in un rapido ricordo sono ancora fuggevolmente richiamati nelle loro forme originarie il tema impulsivo della prima fuga e quello tenero (C), poi viene l’energica conclusione.
Lo Schering interpreta il quartetto (con il suo Finale definitivo, cioè con l’Allegro sostituito alla Fuga originaria) alla stregua di alcune scene del Sogno d’una notte di mezza estate di Shakespeare. Primo tempo (atto III scena I): Titania addormentata; Puck; cacciata degli zotici commedianti; risveglio di Titania; suo dialogo con Bottom dalla testa d’asino; i tre Elfi — Secondo tempo (atto III scena II): Puck attira Lisandro imitando la voce di Demetrio. Lisandro s’addormenta -— Terzo tempo (atto IV scena I): Oberon libera Titania dall’incantesimo. Sogno d’una notte di mezza estate, musica d’incantesimo — Quarto tempo (atto V scena ultima): Danza degli zotici commedianti — Quinto tempo (continuazione della scena precedente): Canto della notte di Puck — Sesto tempo. Oberon e Titania con corteggio di nozze. Ma della Fuga posta originariamente come Finale, e da lui considerata non rispondente come significato ai tempi che precedono e per questo, più che per l’eccessiva lunghezza dell’insieme, sostituita dall’attuale Allegro, il suddetto musicologo trova la ragione nel Faust goethiano: il Sabba del Brocken e, dal Meno mosso e moderato, l’episodio in cui Faust si introduce nella prigione per liberare Margherita, che, in preda alla follia, non lo riconosce e, prendendolo per il carnefice venuto a portarla al patibolo, cerca di muoverlo a pietà.
[Da Biamonti Giovanni – Catalogo cronologico e tematico delle opere di Beethoven comprese quelle inedite e gli abbozzi non utilizzati, Torino, ILTE 1968]
Titolo ufficiale: Opus 130 Quartett (B-dur) für zwei Violinen, Viola und Violoncello Widmung: Nikolaus Borisowitsch Fürst Galitzin NGA VI/5 AGA 49 = Serie 6/13
Origine e pubblicazione: Abbozzato intorno al maggio 1825 a Vienna, inizialmente con la fuga op.133 come movimento finale. Questa versione fu completata nel dicembre 1825. Beethoven in seguito separò la fuga (vedere Op. 133) e compose un nuovo finale da metà settembre a metà novembre 1826 circa. Le edizioni originali furono pubblicate nel maggio 1827 da Mathias Artaria a Vienna in partitura e parti e da Maurice Schlesinger a Parigi in parti. Le prime idee per un terzo quartetto per il principe Galitzin si trovano già assieme agli abbozzi per le opere 127 e 132. Beethoven progettò quindi inizialmente un nuovo quartetto in do maggiore, ma senza portarlo a termine. Il quarto movimento era inizialmente in la maggiore in una versione più breve che doveva esser parte dell’autografo dell’op. 132. Il quartetto era disponibile, per una prima prova dell’opera con lo Schuppanzigh Quartet, a fine dicembre 1825/inizio gennaio 1826, in una copia delle parti oggi perduta, che l’editore Mathias Artaria ricevette come base per l’incisione prima del 9 gennaio 1826. A gennaio fu fatta anche la copia per il principe Galitzin. A metà settembre 1826 Beethoven decise, probabilmente su suggerimento di Artaria, di scrivere un nuovo ultimo movimento per l’ opera e far apparire in separata sede la fuga. Ai contemporanei la Grosse Fuge sembrava troppo complicata, „unverständlich, wie Chinesisch“ (AmZ 28, 1826, 10 maggio 1826).
Beethoven iniziò a lavorare al nuovo finale alla fine di settembre, che inviò ad Artaria tramite Tobias Haslinger il 22 novembre (BGA 2227). A dicembre il quartetto fu provato con il nuovo movimento finale (BKh 11 p. 39). Beethoven inviò l’op. 130 ad Adolph Martin Schlesinger a Berlino il 19 luglio 1825, cioè pochi mesi prima del completamento, (BGA 2015, vedi anche Op. 132). Nei mesi che seguirono si fecero avanti altre parti interessate alla pubblicazione. In questo periodo Karl Holz negoziò per conto di Beethoven con gli editori viennesi Sigmund Anton Steiner (o Tobias Haslinger) e Mathias Artaria (BKh 8 p. 45, 63 e 65), e lo stesso Beethoven offerì il lavoro a Carl Friedrich Peters alla fine del novembre 1825 (BGA 2093). Artaria si aggiudicò l’ opera e il 9 gennaio 1826 annotò nel suo „Spesenbuch“: „an Beethoven für Manuscript seines Quartetts für 2 Viol. A & B 80 #“. All’inizio del febbraio 1826 Karl Holz, inizialmente correttore di bozze per Beethoven, ricevette da Artaria le prime bozze delle parti e in luglio riferì a Beethoven: „Heute bekam ich die Correctur-Bögen; jetzt ist es 5 mahl corrigirt worden von fremder Hand, und auf der ersten Seite fand ich gleich 3 Fehler“ (BKh 10 p. 51). La partitura fu corretta da Johann Baptist Adalbert Traeg per conto di Artaria sulla base delle parti stampate (BKh 10 p. 168). La pubblicazione dell’op. 130 apparve nel maggio 1827. Anche la fuga, ora separata dal quartetto, apparve come op. 133.
Sul soprannome errato “Leibquartett”: Il soprannome “Leibquartett” comunemente usato nei paesi di lingua inglese, si basa su un errore di traduzione e interpretazione che apparve per la prima volta nel testo originale inglese della biografia di Beethoven di Alexander W. Thayer. Il termine usato da Karl Holz a metà marzo 1826 in un libro di conversazione non indica la composizione di Beethoven, ma piuttosto i suoi interpreti, cioè lo Schuppanzigh Quartet. Per quanto riguarda la dedica vedere l’ op. 124. – Nel gennaio 1826 Karl, il nipote di Beethoven, scrisse una bozza del titolo: “3:ième Quatuor pour deux Violons, Viole et Violoncelle, composé aux desirs de S.A. Monseign[eur] le prince Nicolas Galitzin, et dedié au même par L.v.B.eethoven” (BKh 8 p. 287). La copia fu consegnata a San Pietroburgo nella primavera del 1826 dal corriere viennese Augustin Lipscher, il quale, nonostante ripetuti tentativi, non riuscì a ricevere il compenso dal principe. Nella sua lettera di scuse di Koslow datata 22 novembre 1826, il principe confermò “j’ai reçu de vous deux deux nouveaux chefs-d’oeuvre [Op. 130 e 132] de votre immortel et inepuisable genie” (BGA 2230) promettendo, nonostante la sua attuale situazione finanziaria, di trasferire 125 ducati prima di partire per la guerra russo-persiana. Il mancato rispetto di questo pagamento promesso portò a lunghe controversie con i nipoti e gli eredi di Beethoven, che durarono fino al 1852.
Prima esecuzione, con la fuga op.133 come finale, il 21 marzo 1826 nella sala del Musikverein di Vienna al concerto conclusivo della stagione degli “Abonnement-Quartetten“, con Ignaz Schuppanzigh, Karl Holz, Franz Weiß e Joseph Linke (il “Schuppanzigh Quartet”).
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