Opus 102 Sonate (2) in do maggiore e re maggiore per pianoforte e violoncello
Opus 102 Sonate (2) in do maggiore e re maggiore per pianoforte e violoncello op. 102, dedicate alla contessa Erdody, 1815 (non oltre i primi di agosto), pubblicate a Bonn, Simrock, marzo 1817. GA. n. 108-109 (serie 13/4-5) – B. 102 – KH. 102 -L. IV, p. 16 – N. 102 – T. 198
I manoscritti originali si trovano nella Deutsche Staatsbibliothek di Berlino, e portano la data del 1815; quello della prima: “gegen Juli” (verso la fine di luglio, quello della seconda: “anfangs August” (al principio di agosto). Gli abbozzi sono comunicati dal Nottebohm; di qualcuno della seconda sonata, che si trova nel quaderno Miller della raccolta L. Kock, ci informa il catalogo KH. Sono le ultime sonate per pianoforte e violoncello composte da Beethoven, e differiscono sensibilmente dalle tre precedenti: non solo, come è ovvio, dalle prime due dell’op. 5 (1796), ma anche dalla terza op. 69 (1807). Rivelano un Beethoven più inquieto, conciso, concentrato, anche talvolta più indipendente nella forma e nel modo di trattare i due strumenti; ma sono di un’originale e profonda espressività. Furono composte per la contessa Erdòdy e il violoncellista Josef Linke, apprezzatissimo concertista e quartettista, familiare anch’egli della contessa ed amico del maestro.
[Da Biamonti Giovanni – Catalogo cronologico e tematico delle opere di Beethoven comprese quelle inedite e gli abbozzi non utilizzati, Torino, ILTE 1968]
Titolo ufficiale: Opus 102 Zwei Sonaten (C-dur, D-dur) für Klavier und Violoncello Widmung: Anna Maria (Marie) Gräfin Erdödy NGA V/3 AGA 108-109 = Serie 13/4-5
Creazione e pubblicazione: La data autografa della prima sonata è „1815 Gegen Ende juli“, quella della seconda „anfangs August 1815“. Poiché gli abbozzi per l’ultimo movimento della seconda sonata furono concepiti tra il settembre e il novembre 1815, questo lavoro fu probabilmente completato in autunno (JTW p. 245 e 341), fors’ anche nelle prime settimane del 1816 (Zanden/0p. 102 ). L’edizione originale di Bonn fu pubblicata da Simrock nel 1817, l’edizione originale di Vienna da Artaria nel gennaio 1819. La corrispondenza tra Beethoven, la contessa Erdödy e il violoncellista Joseph Linke, che trascorse l’estate del 1815 nella tenuta della contessa a Jedlesee vicino a Vienna, indica che le due sonate furono commissionate dalla contessa. Lei come pianista e Joseph Linke furono indicati come primi esecutori (BGA 800, 826, 833, 835).
Sono sopravvissute tre copie di ciascuna delle due sonate di pugno di Wenzel Rampl. Le copie utilizzate come modello di incisione per Simrock contengono numerose correzioni e integrazioni di Beethoven, che furono già implementate nelle copie date a Charles Neate all’inizio del 1816 (Brandeburg/Violoncell pagina 25f). Edizione Bonn: Il 28 settembre 1816 Beethoven firmò un certificato di proprietà delle sonate per Simrock a Bonn (TDR IV p. XI). Il contratto avvenne quando Peter Joseph, figlio di Nikolaus Simrock, visitò Beethoven a Vienna alla fine dell’estate del 1816. Beethoven informò Simrock circa l’ Opus 101 il 15 febbraio 1817, ma probabilmente intendeva solamente l’ opera più recente pubblicata (BGA 1084 nota 1). Non è stata ancora determinata una pubblicità per l’edizione di Simrock. Non ci sono prove per la datazione che diede Georg Kinsky pensando al marzo (Messa di Pasqua) 1817 (KH p. 283) o per la data data da Alexander W. Thayer alla primavera 1817 (TDR III p. 529). Albi Rosenthal (Rosenthal/Op 102) considera il marzo 1817 troppo presto, poiché nell’aprile 1817 Beethoven stava ancora cercando di definire la vendita dell’op. 102 in Inghilterra (BGA 1116) e anche l’edizione di Simrock venne annunciata solo nel maggio 1818 nell’AmZ in „neue Musikalien“.
In una recensione dell’11 novembre 1818 (AmZ 20, 1818, col. 792-794), la riduzione per pianoforte viene così descritta: „Viel schwerer würde aber die Ausführung für beyde Spieler seyn, hätte nicht der kunstverständige Verleger dem Pianoforte durchgehends die Violoncellstimme in kleinen Noten auf besonderer Zeile übersetzen lassen; wodurch das Verständnis und jene Uebereinstimmung gar sehr erleichtert wird.“
Per l’edizione pubblicata a Vienna nel gennaio 1819, Artaria utilizzò le copie fatte da Wenzel Rampl tratte dalla biblioteca musicale dell’arciduca Rodolfo che Beethoven prese in prestito a questo scopo (si procurò anche l’ edizione originale, di cui non aveva ricevuto copie da Bonn (BGA 1278, 1284). Nel restituire le copie a Rodolfo Beethoven scrisse: ” „Es folgen nebst tiefster Danksagung die Sonaten, nur fehlt das Violonzell noch glaube ich, welche Stimme ich nicht gleich gefunden habe, da der Stich schön ist, so habe ich mir die Freyheit genommen, ein gestochenes Exemplar nebst einem Violin qui[n]tett bey zu legen“.
A differenza di quella di Simrock, l’edizione di Artaria mostra una dedica alla contessa Erdödy, che può essere stata apposta solo dallo stesso Beethoven. Pertanto, l’edizione di Artaria non dovrebbe essere una ristampa dell’edizione originale di Simrock, ma dovrebbe essere considerata un’edizione legittima. L’edizione fu annunciata sulla Wiener Zeitung il 13 gennaio 1819 („erscheinen nächstfolgende Woche die zwey neuen Sonaten […] für das Pianoforte und Violoncell oder Violin, der Frau Gräfinn Marie v. Erdödy […] gewidmet“) e il 25 febbraio come „erschienen“ con l’aggiunta: „Da die Violoncell-Stimme dieser Sonaten sehr gut geeignet war, mit gleicher Wirkung auch durch eine Violine vorgetragen zu werden, so hat die genannte Kunsthandlung diese Einrichtung um so lieber besorgen lassen, als dadurch der Genuß dieser ausgezeichneten Composition sowohl dem grössten Theil der Kunstliebhaber als Künstler zu Theil werden konnte.“ La parte del violino molto probabilmente non è originale di Beethoven (Dufner/NGA V/3 KB p. 38).
Fu solo nel 1819, quando fu ormai chiaro che gli sforzi di Neate per pubblicare le sonate a Londra non furono coronati da successo, che Beethoven mantenne la promessa fatta alla contessa Erdödy e le dedicò le opere, e il suo nome di conseguenza comparve nell’edizione di Vienna di Artaria. Prima esecuzione sconosciuta. Le prime esibizioni in ambienti privati con la contessa Erdödy o Beethoven al pianoforte e Joseph Linke al violoncello ebbero probabilmente luogo nel 1815 e all’inizio del 1816. Anton Schindler riferisce che una sonata fu eseguita al concerto d’addio organizzato da Linke il 18 febbraio 1816 nella sala dell’hotel “Zum Römeren Kaiser” a Vienna con Carl Czerny al pianoforte (TDR III p. 549, vedi anche BGA 902.
Abbozzi si conservano in tutte le principali biblioteche europee.
1) Nr. 1 /II: PL-Kj, Mus. ms. autogr. Beethoven Mend.-Stift. 1 („Mendelssohn 1“), S. 14, 24? Datazione inizio/Metà 1815, in Nottebohm/Beethoveniana ll S. 316, Faksimile: SBB/
(2) Nr. 2/1?: F-Pc (in: Pn), Ms 100, folio. Ir. Appartenente ad un taccuino degli anni 1814/15 (JTW pp. 235-240). Datazione: dicembre 1814, facsimile: Gallica.
(3) Nr. 2/1—III: US-PRscheide (Dpt. in US-PRu), M. 130 („Scheide“), S. 37, 41, 43-47. Datazione: da settembre a novembre 1815, trascrizione parziale: Nottebohm/Beethoveniana ll p.325f.
(4) Nr. 2/II-III: PL-Kj, Mus. ms. autogr. Beethoven Mend.-Stift. 1 („Mendelssohn 1“), S. 32f, 36, 38-55, 57-60. Datazione: da settembre a novembre 1815, trascrizione parziale: Nottebohm/Beethoveniana ll p.318f, facsimile: SBB.
(5) Nr. 2/III: NL-DHk, Bl. 1. Facsimile e trascrizione: Zanden/0pl02.
(6) Nr. 2/III: D-BNba, Slg. H. C. Bodmer, HCB Mh 92, 8 fogli. I segnali di riferimento mostrano una connessione diretta alla sorgente precedente; vedere Zanden/0pl02. Fax: BH/ online.
(7) Nr. 2/III (Fuga): A-Wgm, A 50. Appartenente al quaderno „Landsberg 8/2“ (JTW S. 292-298) Data: maggio o inizio giugno 1824 (vedi Dufner/NGA V/3 KB p. 33f).
(8) Nr. 2/III: GB-Lbl, Add. Ms. 29997, Bl. 13v.
Opus 102 numero 1 Sonata in do maggiore per pianoforte e violoncello
I) Andante – Allegro vivace – II) Adagio – tempo d’ andante – allegro vivace.
Consta di tre tempi, senza introduzione, ciascuno con fisionomia a sé. Il primo è in forma regolare di sonata con il tema iniziale e principale, enunciato dal pianoforte, di una risoluta energia che il Bekker trova espressa già nei «salti di ottava e decima, pieni di slancio, dell’esordio».
Si innesta ad esso la voce del violoncello, più calda ma sempre robusta, che poi si effonde maggiormente nella frase del secondo tema e nella festosa cadenza che conclude la prima parte. Brevità e concisione caratterizzano tutta la condotta del tempo, come nella sonata precedente. Ma alla ripresa segue una coda più sviluppata, che, partendo da un’ultima «citazione» dei due temi nella loro tipica figurazione iniziale, conduce attraverso il pianissimo con una larga successione di accordi alla conclusione in forte sul movimento del tema iniziale.
L’Adagio è una delle grandi pagine beethoveniane, uno di quei soliloqui dell’anima che nella contemplazione solitaria sembra giungere alla fonte ultima d’ogni dolore e d’ogni gioia e conciliarli in una visione superiore insieme rassegnata e confidente. Il tema, a lente frasi simmetriche come quelle di un corale, è enunciato in un movimento per accordi, di raccoglimento qua’, religioso e non privo di qualche cupa inflessione; poi fiorisce di passi melodici, più snello ed ornato, in cui si riverbera tuttavia lo stesso carattere di appassionata tristezza; si schiarisce nella effusa e sempre lenta melodiosità di un canto in maggiore che ne è come il compimento ideologico-spirituale; viene infine ripreso nell’originaria forma e tonalità.
Un accordo sospeso ne tronca la conclusione per lasciar sorgere l’Allegro finale, in forma di fuga. Qualche cosa, anche per lo stesso tono di re minore, avvicina questo Adagio al tempo corrispondente del primo Trio dell’op. 70, dedicato egualmente alla Erdòdy: e pensiamo pure, per qualche lontana e magari fuggevole analogia di «stato d’animo musicale», ai tempi lenti delle Sonate per pianoforte op. 10 n. 3 e op. 28 e all’episodio sinfonico della morte di Chiarina nell’Egmont.
La fuga dell’Allegro finale, che si annuncia pur tanto gentilmente, adempie all’ufficio di tutte le fughe da Beethoven poste a conclusione di sonate o quartetti: un risveglio, una liberazione dalle profondità del sogno o dell’abbandono contemplativo, un ritorno, più o meno spontaneo o volontario, alla vita. In principio essa è leggera, quasi scherzosa, poi si fa man mano più complessa, diremmo anche in qualche momento ostinata; ma per riuscire alla fine in una affermazione vittoriosa, ricollegandosi a suo modo allo spirito risoluto e gioioso che aveva caratterizzato il primo tempo.
[Da Biamonti Giovanni – Catalogo cronologico e tematico delle opere di Beethoven comprese quelle inedite e gli abbozzi non utilizzati, Torino, ILTE 1968]
Opus 102 numero 2 Sonata in re maggiore per pianoforte e violoncello
I) Allegro con brio – II) Adagio con molto sentimento d’ affetto – III) Allegro – Allegro fugato.
Beethoven l’ha chiamata libera, e tale essa è rispetto alla più comune linea tradizionale. Consta di tre tempi, con l’Adagio e l’Allegro vivace finale collegati senza interruzione. Nel primo tempo, che è pure un Allegro vivace, preceduto da una ampia introduzione (Andante) dolce, melodica, tranquilla, risiede l’interesse principale dell’opera. Vi domina in un modo quasi assoluto il tema iniziale, imposto con la sua marcata figurazione ritmica dai due strumenti in quadruplice ottava sulle note dell’accordo di la minore e seguito, dopo qualche raccolta battuta di passaggio, da un movimento a terzine agitato e vibrante che il violoncello trasmette al pianoforte: come una continuazione o un completamento in senso espressivo, quasi uno stemperamento lirico, che finisce di sciogliersi nella cadenza conclusiva della prima parte. Brevissimo lo sviluppo, e sempre sulle basi dello stesso elemento tematico iniziale; così pure, dopo la ripresa, la conclusione.
L’Adagio non ha altra fisionomia che quella, non troppo accentuata, che derivante dal suo breve fraseggio melodico adorno di fioriture, attraversato da qualche lieve ombra: nell’insieme una serena stasi accentuata dal ritorno ad un certo punto dell’Andante introduttivo del primo tempo, che si risolve nell’entrata dell’Allegro vivace finale. Una pagina, quest’ultima, alquanto estrosa; trattata anch’essa in una forma di sonata sui generis, dominata da un temetto paragonabile a qualche frase interiettiva e significativo, di volta in volta, d’impazienza o di risolutezza o di un qualche amichevole contrasto, insieme spiritosa o testarda, come in un dialogo fra due persone che ora parlino piacevolmente, ora si contraddicano o si bisticcino o si raccolgano momentaneamente in gravità; e dove gli spunti polifonici si alternano a qualche compatto impeto ritmico quasi di danza.
[Da Biamonti Giovanni – Catalogo cronologico e tematico delle opere di Beethoven comprese quelle inedite e gli abbozzi non utilizzati, Torino, ILTE 1968]
Per gentile concessione della Staatsbibliothek zu Berlin Preußischer Kulturbesitz)
Gli esempi musicali in MIDI di questa pagina sono curati da Pierre-Jean Chenevez. Chi volesse consultare o richiedere questi file, può contattare l’ autore tramite il nostro modulo di contatto.