Opus 73 Concerto n. 5 in mi bemolle maggiore per pianoforte e orchestra
I) Allegro – II) Adagio un poco mosso – III) Rondò – Allegro
Opus 73 – Concerto n. 5 in mi bemolle maggiore per pianoforte e orchestra op. 73, dedicato all’arciduca Rodolfo di Austria, 1809, pubblicato a Lipsia, Breitkopf e Härtel, in parti d’orchestra: febbraio 1811; in partitura: marzo 1857. GA. n. 69 (serie 9/5) – B. 73 – KH. 73 – L. III, p. 159 -N. 73 – T. 144.
Il manoscritto originale si trova nella Deutsche Staatsbibliothek di Berlino; gli abbozzi nel quaderno della Fantasia op. 80. Senza nessuna intenzione di stabilire una graduatoria di valori assoluti, che sarebbe del resto assai difficile, dobbiamo riconoscere la preminenza di questo concerto sui precedenti quattro per l’ampiezza della linea, l’efficienza del magistero tecnico anche in funzione espressiva e la bellezza dell’eloquio melodico strumentale pur nell’assenza di quegli elementi drammatici e passionali che tanto frequentemente animano le pagine beethoveniane.
Anche qui il solista, come nel quarto Concerto, apre un Allegro, non però con il carattere di una «presa di posizione » tematica, bensì come una grande cadenza introduttiva, appoggiata alla successione di accordi della orchestra, in cui si afferma piuttosto lo spirito di tutto il tempo, d’un aperto carattere solare-celebrativo. Il primo tema del Tutti ha la fisionomia d’un inno marziale, e per la schiettezza di questa sua linea può avvicinarsi ad altri, tuttavia meno impegnativi, della Seconda Sinfonia o del Triplo Concerto per pianoforte, violino, violoncello e orchestra. Il secondo è anch’esso un motivo di marcia caratteristico nella sua prima enunciazione, in minore, in note staccate e tanto morbidamente addolcito nella ripetizione in maggiore, legato, dai corni.
La conclusione riporta il tema iniziale, allargandolo e magnificandolo. Originale è l’entrata del solista sull’impuntatura ritmica dell’accordo sospeso di cadenza, tanto fortemente accentuato nell’orchestra e più libera la sua riesposizione. Il modo in cui il secondo tema torna ad apparire – questa volta nel pianoforte — costituisce poi senza dubbio uno degli episodi più suggestivi dell’opera: creando nel particolare impegno di elementi ritmici e timbrici un effetto tutto nuovo per fantasia e dolcezza d’espressione. Con lo stesso carattere di libertà e genialità si svolge e conclude la prima parte. Analogamente può dirsi dello sviluppo, retto dal primo tema, e soprattutto dal suo ritmo, che raggiunge l’acme della tensione nella marcata contrapposizione fra orchestra e solista: da cui muove il formidabile, diciamo eroico, passo in ottave del pianoforte, e poi l’ascesa dell’orchestra con lo spunto « rullante » del tema stesso, che conduce alla ripresa.
Una annotazione apposta dall’autore, in italiano, alla fine di questa, avverte che « non si fa nessuna cadenza, ma s’attacca subito il seguente »: cioè un breve episodio riassuntivo con il ritorno dei due temi fondamentali nella loro particolare fisionomia; altra trovata di grande effetto che ricorda ancora una volta sinteticamente lo spirito della pagina e conduce alla impetuosa conclusione. Una melodia che lascia trasparire nel suo raccoglimento un certo intimo fervore è enunciata, in principio dell’Adagio un poco mosso, dagli archi con sordina. Alla sua frase terminale si innesta ed intreccia il solista con passaggi discendenti dall’alto e plananti mollemente, di cui qualche strumento a fiato accentua la morbidezza; un po’ come nel Larghetto del Concerto per violino o nel Benedictus della Missa Solemnis (che però è più aereo); poi il pianoforte si impossessa del tema (che gli archi, passati ora in seconda linea, ripetono in piccato) svolgendolo in piene armonie, adornandone lievemente la melodia, avvolgendone infine l’ulteriore ripetizione che ha come primari interpreti il flauto, il clarinetto e il fagotto.
In questa vivificazione lirica sempre più intensa l’Adagio raggiunge la massima efficienza, dissolvendosi poi in una specie di alone di mite luce diffusa. Un improvviso passaggio in mi bemolle accenna come lontano, ma già definito nel ritmo e nella forma melodica, lo spunto di un nuovo tema: quello del Rondò, che si slancia subito dopo la breve sospensione di un punto coronato in un movimento (Allegro) di danza energica e brillante, con la fisionomia ritmica vicina — talora anche letteralmente — a quella del primo tempo della Settima Sinfonia; e come in questa pulsante, oltre che nel tema principale, in tutti i vari episodi. Di tipico effetto strumentale è alla fine l’alternanza fra il timpano e il pianoforte, in cui il timbro dei due strumenti viene quasi a confondersi diminuendo, prima di sparire. Da questa ultima stasi lo slancio del solista, improvvisamente rianimato, porta alla rapida conclusione ribadita dall’intera orchestra.
[Da Biamonti Giovanni – Catalogo cronologico e tematico delle opere di Beethoven comprese quelle inedite e gli abbozzi non utilizzati, Torino, ILTE 1968]
Titolo ufficiale: Opus 73 Konzert Nr. 5 (Es-dur) für Klavier und Orchester Widmung: Erzherzog Rudolph von Österreich NGAIII/3 AGA 69 = Serie 9/5 Beiname: Emperor Concerto
Creazione e pubblicazione: Abbozzato tra la fine di dicembre 1808 e l’aprile 1809 a Vienna. Nella sua corrispondenza con Breitkopf & Härtel, Beethoven descrisse il concerto per pianoforte come composizione più antica rispetto al quartetto d’archi op. 74 (concepito tra l’agosto ed il settembre 1809). Nell’estate del 1809 esisteva probabilmente già una partitura autografa dell’op. 73. Tuttavia una partitura corretta fu disponibile solo nell’ agosto 1810 e inviata agli editori Breitkopf & Härtel. L’edizione originale di Londra fu pubblicata da Clementi & Co nel novembre 1810. L’edizione originale di Lipsia fu inserita nel catalogo stampato dell’editore nel febbraio 1811. Beethoven probabilmente si dedicò a progetti subito dopo la sua accademia il 22 dicembre 1808, in cui, tra l’altro, era stata eseguita per la prima volta la Fantasia corale op. 80. La fase principale del progetto seguì poi nei primi mesi del 1809. Dopo gli ultimi schizzi per l’op. 73, contenuti nel quaderno di abbozzi denominato “Landsberg 5”, sono presenti le prime idee per la Sonata op. 81a, trascritte probabilmente nell’aprile 1809. Hans-Werner Küthen sospetta che Beethoven abbia aggiunto solo otto battute del 1° movimento (battute 173-180) all’inizio del 1810. La figura di basso figurato contenuta nella partitura autografa e nella copia della parte solista fu probabilmente aggiunta solo pochi mesi dopo.
Le opere 73-81a e 82 così come WoO 136, 137 e 139 furono oggetto di un accordo tra Beethoven e Muzio Clementi (probabilmente in occasione del suo soggiorno a Vienna tra il 1808 ed il 1810) con lo scopo di far apparire dette opere come edizioni originali a Londra e a Lipsia (o Vienna) contemporaneamente. Come data di uscita per l’op. 73 fu probabilmente previsto il novembre 1810, cui Clementi aderì in modo dimostrabile. Dopo che Beethoven ebbe raggiunto un accordo con Breitkopf & Härtel, inviò a Lipsia nell’agosto 1810 il modello per l’incisore come parte di un secondo gruppo di lavori. Il 21 agosto chiese all’editore di assegnare i numeri delle opere: „Die lezte Nummer von den lezten Wercken [Op. 71] welche bev ihnen heraus gekommen mag ihnen zum Leitfaden dienen diese Werke gehörig zu Numeriren / das quartett [Op. 74] ist Früher als die ändern – das Konzert ist noch Früher als das quartett, wenn sie die Nummern chronologisch ordnen wollen da beyde von einem Jahr, so brauchts eben nicht […] – sie werden nun bald alles was zur zweiten Lieferung gehört empfangen haben“ (BGA 465). Il 24 settembre Breitkopf & Härtel ricevettero la seconda consegna e comunicarono il numero d’ opera (BGA 469). In due lettere di ottobre (BGA 472, 474) Beethoven chiese le bozze e le copia dell’ incisore per correggere l’incisione: „sorgen sie ja und gehn sie doch ein, weswegen ich sie oft gebeten, schiken sie ein probe exemplar, aber auch die Manuskripte, man klagt über die Unrichtigkeit des Stichs, und ich habe bemerkt, daß auch die klärste schrift gemißdeutet wird […] — warum ich die Manuskripte begehre mit dem probe exemplar ist, weil ich beynahe keins besize, weil wohl hier und da ein guter Freund mich darum begehrt, so hat die Partitur vom Konzert der Erzherzog und gibt sie mir nicht mehr wieder“ (BGA 474 del 15 ottobre). L’editore apparentemente non si peritò di farlo.
Il soprannome “Emperor Concerto” comunemente usato nei paesi di lingua inglese implica che Beethoven abbia composto questo concerto dallo spirito “Eroico” in onore di Napoleone e quindi gli abbia eretto un monumento musicale. Non ci sono prove biografiche per questa considerazione. Al contrario, nel momento in cui fu scritto, Beethoven si stava già allontanando da Napoleone. L’autore del soprannome non ci è noto. Freda Berkowitz sospetta che possa essere stato l’editore e pianista Johann Baptist Cramer. Per quanto riguarda la dedica vedere op. 58.
Prima esecuzione il 13 gennaio 1811 in uno dei concerti in abbonamento organizzati dal principe Lobkowitz nel suo palazzo la domenica sera. Questa performance fu testimoniata da Johann Nepomuk Chotek, che ne riferì nel suo diario: ” Abends gingen wir in das Concert bey Lobkowitz welches bis 10 Uhr währte, das vorzüglichste was producirt wurde war eine schöne Overture von Righini, ein außerordentlich schweres und künstliches aber gar nicht angenehmes neues Concert von Beethoven von E. H. Rudolph gespielt, ich hörte ihn heute zum ersten male spielen er hat wirklich sehr viel Fertigkeit und Ausdruck.“ Il 28 novembre 1811 fu suonato nell’ambito dei concerti del Gewandhaus di Lipsia. Solista Friedrich Schneider, direttore d’ orchestra Philipp Christian Schulz. Con Carl Czerny al pianoforte, il concerto fu eseguito il 12 febbraio 1812 al Kärntnertortheater di Vienna in un’accademia di beneficenza. L’AmZ scrisse del concerto di Lipsia: „Beethovens neuestes Concert für das Pianoforte (aus Es dur, bei Breitkopf und Härtel) folgte. Es ist dies ohne Zweifel eines der originellesten, phantasiereichsten, effectvollesten, aber auch schwierigsten, von allen existirenden Concerten.“ Il recensore dell’esibizione viennese si è invece lamentato “dell’eccessiva lunghezza della composizione”. Il 21 maggio 1824 Beethoven chiese a Carl Czerny di eseguire il 2° e 3° movimento dell’op. 73. Czerny rifiutò (BGA 1838f).
Gli abbozzi saranno trattati in un articolo appositamente creato per il Centro Ricerche Musicali www.lvbeethoven.it
Opus 73 Concerto n. 5
in mi bemolle maggiore per pianoforte e orchestra
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