Opus 43 – Die Geschöpfe des Prometheus (Le creature di Prometeo), balletto di Viganò op. 43, 1800-metà 1801, pubblicazione dell’Ouverture in parti d’orchestra, Lipsia, Hoffmeister e Kühnel, gennaio 1804; dell’opera intera in riduzione per pianoforte, v. n. 289; in partitura nella GA., 1864. GA. n. 11 (serie 2/2) – B. 43 – KH. 43 – L. II, p. 230 -N. 43 – T. 79.
Il manoscritto originale è andato perduto. Una copia della partitura, riveduta per i primi cinque numeri da Beethoven, si trova nella Nationalbibliothek di Vienna.
Tornato nel 1799 nella capitale austriaca dopo alcuni anni di assenza per giri artistici in Germania, Boemia ed Italia che avevano considerevolmente diffuso la fama del suo talento coreografico, Salvatore Viganò ideò questo balletto, che celebra le Belle Arti, in onore dell’imperatrice Maria Teresa, la seconda moglie dell’imperatore Francesco I d’Austria, protettrice della musica e buona dilettante di canto, alla quale del resto anche Beethoven aveva poco tempo prima fatto omaggio del suo Settimino. Il « testo » coreografico non ci è noto; possiamo però cercare di ricostruirlo approssimativamente giovandoci delle notizie contenute nel manifesto della prima rappresentazione, di alcune indicazioni apposte agli abbozzi, riferiti saltuariamente dal Nottebohm ed integralmente dal Mikulicz; infine di una descrizione di Carlo Ritorni nella sua opera su Viganò, che però non sappiamo se si riferisca precisamente e in tutti i suoi particolari alla rappresentazione beethoveniana.
La prima rappresentazione ebbe luogo nell’Imperial Real Teatro di Corte. Il manifesto affisso al teatro, come riferisce il catalogo Thayer e ripete il Thayer-Riemann (II, pag. 219), ne dava l’annuncio nel modo seguente (che riportiamo in traduzione italiana): Nuovo Balletto Nell’Imperial Real Teatro di Corte presso il Castello degli artisti dell’Opera di Corte Imperiale e Reale oggi Sabato 26 marzo 1801 eseguito in onore della Signorina Casentini. Il Barbiere del Villaggio Operetta in un atto, dalla commedia omonima. Seguirà (per la prima volta) Le Creature di Prometeo.
Un eroico, allegorico balletto in due atti Inventato ed eseguito dal Signor Salvatore Viganò. Personaggi: Prometeo Sig. Cesari Creature Sig.na Casentini. Sig. Salvatore Viganò Bacco Sig. Ferdinando Gioia. Pane …..Aichinger. Tersicore Sig.ra Brandi Talia Sig.ra Cesari Melpomene Sig.ra Reuth Apollo – Anfione – Arione – Orfeo. Il fondamento di questo allegorico Balletto è la favola di Prometeo.
I filosofi della Grecia spiegano la rappresentazione della favola immaginando Prometeo come un nobile spirito, che, trovati gli uomini del suo tempo in uno stato di ignoranza, li affinò nelle scienze e nelle arti e li ammaestrò nei costumi. Da un tal principio muovendo, si rappresentano in questo balletto due statue che si animano e, per virtù dell’ armonia, divengono suscettibili di tutte le passioni della vita umana.
Prometeo le conduce al Parnaso per farle istruire da Apollo, dio delle belle arti; Apollo ordina ad Anfione, ad Ariane e ad Orfeo di ammaestrarle nella musica, a Melpomene e a Talia di farle consapevoli della tragedia e della commedia, a Tersicore e a Pan di insegnar loro la danza pastorale, di cui essi sono gli inventori, ed a Bacco di insegnar la danza eroica, da lui inventata. La musica è del Signor van Beethoven. Le decorazioni sono del Signor Platter, pittore della Corte Imperiale e Reale e decoratore del teatro di Corte.
Un altro manifesto, in lingua tedesca e italiana, trovato dal Nottebohm nell’archivio della società degli Amici della Musica di Vienna, e da lui pubblicato nella Allgemeine Musikalische Zeitung del 1869, n. 37, come riferisce il Thayer-Riemann (II, pag. 220), annuncia la rappresentazione del balletto con il titolo: Die Menschen (Gli uomini) des Prometheus per il 21 marzo. Probabilmente erano questi sia il titolo originario che la data (che poi, per una qualche ragione contingente, dovette essere spostata) originariamente stabilita per la prima rappresentazione.
La descrizione del Ritorni è la seguente: “Gli uomini di Prometeo ossia La forza della musica e della danza. Incalzato dalla fulminante ira del Cielo, che dà luogo a fragoroso musical preludio, vien Prometeo pel bosco correndo verso le sue statue della creta, cui frettoloso accosta al cuore la fiaccola celeste. Mentr’egli affaticato, affannato, compita l’ opera, s’abbandona su un sasso, quelle acquistan vita e movimento, e diventano in fatto, quali eran in apparenza, un uomo ed una donna (Salvatore stesso e la brava Casentini). Prometeo riscuotendosi li guarda con giubilo, li invita a sé con paterno amore, ma non può destare in essi alcun sentimento mostri uso di ragione: anzi quelli, lasciandosi cader in terra indolentemente, piucché a lui, rivolgonsi ad un’alta pianta (vorrebbe ciò per avventura indicare quella delle ghiande, che furono indispensabile alimento agli uomini primi?). Ritorna egli alle carezze ed alle persuasive, ma coloro che di uomini non hanno la miglior parte, la ragione, non intendono le sue parole e sen’infastidiscono, e coll’ inetto loro aggirarsi tentano andar più lunge. Dolente il Titano prova ancor le minacce, nulla giovando, sdegnato, pensa perfino a dover distruggere quel’ opera sua; ma voce superna internamente ne lo ritrae, sicché torna al primo affetto, e mostrando nuovo disegno essere nato nella sua mente, seco entrambi, afferrati, altrove strascina.
L’atto secondo è nel Parnaso. Apollo, le Muse, le Grazie, Bacco e Pane con seguito, Orfeo, Anfione, Arione, uomini nascituri, e con anacronismo introdotti. Un bel quadro di queste poetiche figure mostra all’aprir della scena la corte di Apollo. Notisi che il Coreografo non vuol qui né musica né danza specialmente, onde allorché queste verranno adoperate poi come stessi particolari, se ne conosca il loro novello intervenimento: savia avvertenza in ogni simile caso! Vien Prometeo presentando al nume i figli suoi, perché gli piaccia farli capaci dell’arte e delle scienze. Al cenno di Febo Euterpe, secondata da Anfione, mettesi a suonare, ad alle loro modulazioni i due giovanetti cominciano a dar segno di ragione, di riflessione, di veder le bellezze della natura, di sentir umani affetti. Arione ed Orfeo rafforzano l’armonia colle loro cetere ed ultimamente il nume secoloro. I Candidati agitansi qua e là, e giunti avanti Prometeo, conoscon in lui l’oggetto di lor riconoscenza e amore, e gli si prostrano, e seco confondono gli affettuosi amplessi. Allora avanza Tersicore colle Grazie, e Bacco co’ suoi Baccanti, che menano una danza eroica (più propria del seguito di Marte) nella quale i figli di Prometeo, non reggendo ormai agli stimoli della gloria, dato di piglio all’arme, voglionsi mischiare. Ma Melponene allora, recatasi in mezzo, a’ Giovanetti attoniti rappresenta una tragica scena, facendo vedere col suo pugnale come morte termini i giorni dell’uomo. Raccapricciandone essi, volgesi al Padre confuso e lo rimprovera aver fatti nascere que’ miseri a tali calamità, né crede punirlo soverchiamente con la morte, il perché, invan rattenuta da’ pietosi figli, di pugnale l’uccide. Rompe quel lutto Talia con una giuocosa scena, ponendo sua maschera avanti il volto de’ due piangenti, mentre Pane, alla testa de’ Fauni, comicamente dannanti, torna a vita restinto Titano, e così fra danze festive termina la favola.”