Opus 3 Trio in mi bemolle maggiore op. 3 per violino, viola e violoncello (redazione definitiva)
I) Allegro con brio – II) Andante – III) Minuetto primo (Allegretto) – IV) Adagio – V) Minuetto secondo (Moderato) – VI) Finale – Allegro
Titolo ufficiale: Opus 3 Trio (Es-dur) für Violine, Viola und Violoncello Widmung: – NGA VI/6 AGA 54 = Serie 7/1 SBG VI/4 (Quelle 1.3, Hess 25) und IX/28 (Hess 47)
Opus 3 – Trio in mi bemolle maggiore op. 3 per violino, viola e violoncello (redazione definitiva), 1795 – primavera 1796, pubblicato in parti separate a Vienna, Artaria, primavera 1796; in partitura a Mannheim, Heckel, ottobre 1848. GA. n. 54 (serie 7/1) – Bruers 3 – KH. 3 – L. I, pagina 50 – Nottebohm 3 – P. 64 – Sch. pagine 219/42 – Thayer 18, Biamonti 105.
Si è già parlato della prima redazione di questo Trio e dell’ipotetica derivazione della presente, definitiva, da un fallito tentativo di adattamento a Quartetto. Si riconoscono facilmente nell’opera caratteri di leggerezza, di eleganza, di piacevolezza che, uniti alla varietà ed al maggior numero dei movimenti, la fanno più vicina al Divertimento e alla Serenata che non al Trii per archi op. 9, composti da Beethoven nello stesso arco di tempo. Strumentalmente essa costituisce un insieme organico dove trionfa quasi sempre il valore del complesso, non la fatuità virtuosistica di un singolo.
Composizione e pubblicazione: Composta nel 1794(?)/95. La carta utilizzata per le parti superstiti della partitura autografa risale al 1795. Artaria probabilmente ricevette un modello da incisione entro gennaio 1796, prima che Beethoven partisse per Praga e Berlino. L’edizione originale in parti fu pubblicata da Artaria a Vienna nella primavera (?) del 1796.
Secondo Franz Gerhard Wegeler, “trug 1795 Graf Appony Beethoven auf, gegen ein bestimmtes Honorar ein Quartett zu componiren, deren er bisher noch keines geliefert hatte. […] Auf meine oft wiederholte Erinnerung an diesen Auftrag machte Beethoven sich zweimal ans Werk, allein beim ersten Versuch entstand ein großes Violin-Trio (Op. 3.) bei dem zweiten ein Violin-Quintett (Op. 4.)“ “Nel 1795 il conte Appony incaricò Beethoven di comporre un quartetto per un certo compenso, che non aveva ancora consegnato. […] Beethoven si mise al lavoro due volte, da solo al primo tentativo fu creato un grande trio per violino (Op. 3.) e al secondo un quintetto per violino (Op. 4.)” (Wegeler/Ries p. 29f).
L’affermazione che possa esser esistita una prima versione fondamentalmente diversa del 6° movimento (Hess 25), fu confutata da Carl Engel già nel 1927 (Engel/Op3; vedi anche Platen/NGA VI/ 6 p. VII).
In un secondo momento Beethoven iniziò una rielaborazione del trio come quartetto con pianoforte (Platen/NGA VI/6), che si trova in una copia dell’op. 3. Wilhelm Altmann, invece, lo vedeva come un arrangiamento per trio con pianoforte (Altmann/Op3, Hess 47), tesi che Myron Schwager (Schwager/Arrangiamenti) considera “veramente ipotetica”.
L’opera fu incisa da Artaria assieme l’op. 4 e pubblicizzate nel Journal des Luxus und der Moden nel novembre 1796 (11 novembre 1796, p. 570) e con l’op. 4, 5, 46 e WoO 68 nella Wiener Zeitung dell’8 febbraio 1797 (KH erroneamente riferisce il 6 febbraio). Erroneamente il secondo annuncio afferma „ganz neu zu haben“ “nuove di zecca”. Almeno per WoO 68 è un chiaro errore . Durante questo periodo (secondo Weinmann/Artaria p. 42 ss.) gli annunci di Artaria generalmente seguivano cronologicamente l’ordine del VN. Di conseguenza, la pubblicazione dell’op. 3 e 4 (VN 626 e 627) ebbe luogo subito dopo l’op. 2 (VN 614, annuncio del 9 marzo 1796). Dalla metà dell’anno erano già stati segnalati i VN 644.
La prima esibizione è sconosciuta.
Nella sua biografia in più volumi “Music and Friends” (Londra 1838/1853), William Gardiner (Vedere anche l’ articolo “GERMANY” & “WALTHAM” Hymnes sacrées de William Gardiner, « Sujet de Beethoven » (Sacred Melodies, Vol. 2, 1815) Article de Michel Rouch)
afferma, in dichiarazioni contraddittorie, che l’abate Dobler portò con sé il trio da Bonn in Inghilterra nel 1793, 1794 e 1795, dove fu pubblicato a Leicester come La prima opera di Beethoven in assoluto ad esser stata eseguita in Inghilterra. Se il racconto di Gardiner fosse vero, secondo l’ analisi di Carl Engels dei fatti storici tratti dal rapporto, solo l’anno 1794 e più precisamente l’ottobre di quell’anno, può essere considerato come data della partenza dell’abate da Bonn. In questo contesto, però, va anche notato che Gardiner cita anche il 1796 in una lettera a Beethoven come l’anno in cui conobbe il trio (BGA 764, datato probabilmente 1814; cfr Engel/Op3 p. 265-267 ).
Il Trio – probabilmente rimaneggiato prima della sua pubblicazione nella primavera del 1796 presso l’editore Artaria – è formato da sei movimenti e per questo è accostabile nella sua struttura al vecchio Divertimento o alla Serenata, generi che conobbero il loro massimo fulgore nella stagione haydniana-mozartiana e che sul finire del Settecento andarono rapidamente verso il loro tramonto. In particolare poi è del tutto evidente che in questo lavoro Beethoven fu influenzato dal Divertimento per trio d’archi “Gran Trio” K 563 di Mozart. Giovanni Carli Ballola fa una comparazione fra i due Trii e annota che: «(…) La brillantezza concertante del modello mozartiano viene generalmente sostituita qui da una scrittura più sobria e compatta, nel senso che il problema di riempire ed equilibrare adeguatamente lo spazio sonoro delimitato dai tre strumenti viene affrontato dai due musicisti attraverso vie diametralmente opposte. Mentre Mozart si era studiato di conferire la massima spazialità all’organico in un sistematico incrocio polifonico (…) di chiara ascendenza bachiana, Beethoven sembra ancora muoversi in un sistema d’impronta pianistica, tendente generalmente parlando, ad un movimento delle parti alquanto raccolto, con ampio impiego di figure d’accompagnamento ad arpeggi albertini o a note ribattute e modesto ricorso al contrappunto.(…)».[2]
Il Trio, si può dunque ben dire, è un passo importante, non tanto verso il Quartetto ma «(…) verso la familiarizzazione con lo stile sinfonico (…)»[3]. Questa concezione sinfonica la percepiamo, non solo dall’uso ridotto del contrappunto, ma dal fatto che il registro acuto è rappresentato dal violino, quello medio dalla viola e quello basso dal violoncello. Tutto ciò però non impedì a Beethoven di mantenere anche la parte virtuosistica, tanto è vero che per eseguire questo Trio, come gli altri seguenti, sono necessari esecutori di un certo spessore. Lo strumento principale è il violino ma questo lavoro presenta una novità rilevante: la ricerca dell’equilibrio timbrico. Secondo Giovanni Biamonti si tratta di: «(…) un’opera piena di gioia, di sereno equilibrio (…) un insieme dove trionfa la felice, reciproca integrazione degli strumenti (…).».[4]
Per Luigi Della Croce, il primo movimento è un eccellente “Allegro con brio” imperniato da felice energia con: «Un primo soggetto di carattere imperioso(…)»[5] e il secondo tema è caratterizzato da: «(…) una lunga melodia (…) particolarmente attraente quando è il violoncello a riprenderla. Ed è il secondo tema che viene in un primo momento a trovarsi al centro dello sviluppo. Ma Beethoven, utilizzando l’espediente, non troppo usuale della “falsa ripresa” rimette tutto in questione e dà inizio ad un nuovo, molto più esteso svolgimento basato su altro materiale dell’esposizione e anzitutto, come vuole la regola, sul primo tema.».[6]
Il secondo movimento è un “Andante” tipicamente danzante nel quale come osservò il Jacques Gabriel Prod’homme: «(…) si ripete con insistenza un gruppo di quattro note che diventeranno (ma con qualche altro accento) il motivo fatidico della Sinfonia in do- (…)».[7] Questo tema, a detta di Luigi Della Croce: «(…) costruisce un castigato quadretto all’insegna della più stretta osservanza nei confronti della tradizione e della simmetria, elemento essenziale dello stile classico. Inserito in una forma sonata ineccepibile (…) viene ripetuto con insistenza (…)».[8] Secondo Giovanni Carli Ballola, è nei due movimenti lenti, l’Andante e l’Adagio, che Beethoven riserva: «(…) la fine e sapiente elaborazione cameristica, con le incursioni nel contrappunto e l’attento impiego delle risorse timbriche dei tre strumenti (…)».[9]
Il terzo movimento è un “Minuetto: Allegretto” molto leggero e con richiami di carattere popolare. Luigi Della Croce afferma che il: «(…) motivo di due note, calante e poi ascendente (…) contrasta con l’ampiezza e il respiro del relativo Trio, una melodia, su valori lunghi, tesa verso l’alto e lasciata al canto senza condizioni del violino. Eccentrica (…) la coda, da eseguirsi eccezionalmente dopo il ritorno del minuetto.».[10]
Solo in quarta posizione, il movimento “Adagio” il momento più riuscito dell’intero brano, dove si riesce a raggiungere un certo equilibrio timbrico fra i tre strumenti: il violoncello è spesso protagonista nel presentarne la melodia, la viola ha dei “raddoppi” eccellenti e sopratutto, come afferma Stefano Catucci, la peculiarità importante sta nella: «(…) serie di transizioni, gruppi di accordi e brevi imitazioni che consentono a Beethoven di sfruttare in modo più vario la collaborazione fra i tre strumenti.(…)».[11] Luigi Della Croce rileva che: «(…) su un accompagnamento insistente di bassi albertini della viola, il violino enuncia il suo canto-preghiera, lineare ma riccamente ornato di appoggiature e gruppetti. Da quest’ampia frase di un tenero lirismo (…) prendono corpo sviluppi ai quali partecipano anche viola e violoncello. (…) Dolcissima è la chiusa (…)».[12]
Il quinto movimento è un “Minuetto moderato” caratterizzato, ancor più del primo Minuetto da incursioni popolari di tipo tzigano e ben ancorato nello stile di fine Settecento.
Sesto movimento “Finale: Allegro” caratterizzato da un taglio più originale rispetto all’Allegro iniziale, ma che comunque si richiamo fortemente allo stile haydniano.
[1] Giovanni Biamonti: Catalogo cronologico e tematico delle opere di Beethoven. Editore Ilte Torino
[2] Luigi Della Croce: Ludwig van Beethoven. La musica pianistica e da camera. L’Epos editore
[3] Luigi Della Croce: Ludwig van Beethoven. La musica pianistica e da camera. L’Epos editore
[4] Antonio Bruers: Beethoven. Catalogo storico-critico di tutte le opere. Dott. Giovanni Bardi Editore
[5] Luigi Della Croce: Ludwig van Beethoven. La musica pianistica e da camera. L’Epos editore
[6] Giovanni Carli Ballola: Beethoven. Biografie Bompiani
[7] Luigi Della Croce: Ludwig van Beethoven. La musica pianistica e da camera. L’Epos editore
[8] Stefano Catucci: Beethoven: opera omnia. (Le opere). Editore Fabbri Classica
[9] Luigi Della Croce: Ludwig van Beethoven. La musica pianistica e da camera. L’Epos editore
[10] Franz Gerhard Wegeler/Ferdinand Ries: Beethoven. Appunti biografici dal vivo. Moretti e Vitali editore
[11] Giovanni Carli Ballola: Beethoven. Biografie Bompiani
[12] Stefano Catucci: Beethoven opera Omnia. Le opere. Fabbri Classica
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