Anhang 4

Sonata, in si bemolle maggiore, per pianoforte e flauto – 1790.

Una copia manoscritta con numerose cancellature, aggiunte e correzioni si trova nella Deutsche Staatsbibliothek di Berlino. Pubblicata a Berlino (Zimmermann, 1906) in una revisione alquanto arbitraria di A. van Leeuwen, è stata ripubblicata a Lipsia (Bruckner Verlag, fine 1951) in edizione critica più fedele all’originale da Willy Hess, ed attualmente dal Centro di Ricerche Musicali www.lvbeethoven.it .  Per quanto vi siano degli argomenti per ammetterne l’ autenticità, questa non può tuttavia dirsi positivamente di sicura attribuzione.

Quest’opera manoscritta, ritrovata nel lascito ereditario di Beethoven con numerose cancellature, è databile circa al 1790. Fu pubblicata dal flautista Ary van Leeuwen, presso la Zimmermann Verlag di Lipsia e Berlino nel 1906, con piccoli tagli al primo movimento e cambiamenti nell’annotazione musicale. Fortunatamente nel 1951 Willy Hess, la pubblicò nella sua integrità presso Peters a Lipsia.

Nella parte superiore del manoscritto si legge “Sonata di Bethoe”. L’errore nella scrittura del nome e lo scarso spessore stilistico di questa partitura, secondo i giudizi dati da Hugo Riemann e Jaques-Gabriel Prod’homme, sono i motivi che vengono addotti per considerarla di incerta attribuzione. A favore dell’ipotesi che sia stata scritta da Beethoven c’è il fatto che egli negli anni di Bonn, spesso scrisse il suo nome con una sola “e”; purtroppo, però, rimane incomprensibile il perché del resto della storpiatura.

Inoltre questa sarebbe l’unica opera non sua che il compositore conservò fra i suoi lasciti. Questo fatto, che fu già a suo tempo messo in rilievo da Willy Hess, è considerato il più convincente per affermare che si tratti di un’opera di Beethoven. Questo anche perché, in verità e a dispetto dei suoi detrattori passati e presenti, la qualità della composizione non è poi così scadente come fu giudicata e come molti flautisti si ostinano a dichiarare ancora oggi. Forse su questo giudizio pesa un non ancora unanime riconoscimento circa la paternità beethoveniana più che un’analisi obiettiva della sua reale qualità musicale, dove aleggia una certa eleganza e un certo fascino, soprattutto nel suo terzo movimento, “Largo”, incentrato su un’atmosfera sognante e ciò senza voler sottovalutare il resto della Sonata.

Pur esistendo già registrazioni che la attribuiscono a Beethoven, purtroppo non vi sono al momento certezze sulla paternità di quest’opera e, pertanto, molto a malincuore, devo inserirla fra quelle considerate dubbie.

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